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Nel pieno della prima pandemia, quando ci inventavamo passatempi per occupare l’incubo dell’intervallo virale, il mio amico Franco Manzitti mi chiese come mi era venuto in mente di scrivere un libro su Palmiro Togliatti, grande capo del comunismo e su Giuseppe Siri grande difensore della tradizione ecclesiastica.

Gli risposi, se ricordo bene, che erano due straordinari genovesi un po’ dimenticati: Togliatti nato il 26 marzo del 1893 al Carmine (in via all’Albergo dei poveri oggi via Bellucci) perché il padre Antonio faceva l’economo al Convitto Colombo e battezzato nella splendida chiesa di don Gallo, rimasto a Genova fino al compimento dei quattro anni e Siri nato tredici anni dopo in un palazzo di distacco piazza Marsala, figlio della portinaia. Due proletari, intelligentissimi, diventati personaggi di spicco internazionale. Uno leader del più grande partito comunista fuori da Mosca, l’altro che per quattro volte entrerà in conclave quasi papa, ma ne uscirà sempre cardinale.

Oggi darei anche un’altra motivazione per il mio “Togliatti e il Cardinale” edito da De Ferrari di cui parleremo lunedì alle 18 da Feltrinelli. Risponderei che volevo verificare, leggendo i giornali dei quel decennio, tra il 1953 e il 1964, quale era il tenore della politica in un decennio così sconvolgente. Era un altro mondo, c’erano soprattutto le grandi scuole dei partiti, il Pci con sezioni e Frattocchie, la Dc con le parrocchie e l’Azione cattolica e dalle scuole uscivano i politici che si chiamavano Fanfani, Moro, Segni, Gronchi, Terracini, Alicata, Jotti, Ingrao, Amendola, Nenni, Pertini, Saragat, Malagodi, La Malfa per ricordarne solo alcuni.

L’idea è partita da una intervista che Siri diede a due giornalisti del mensile cattolico “30 giorni” Lucio Brunelli e Tommaso Ricci nel marzo del 1988. Sua eminenza rivelò che Togliatti, nella primavera del 1964, gli aveva chiesto un incontro e che questo era stato fissato per la fine dell’estate quando il leader comunista sarebbe ritornato dalla vacanza a Yalta, in Urss. Non tornò perché morì improvvisamente per un ictus. “Mi voleva vedere non come istituzione” aggiunse un po’ maliziosamente l’arcivescovo di Genova che era il presidente della Cei, cioè dei vescovi italiani, “ma come prete”, scatenando allora polemiche su ipotesi di conversioni, peraltro poco verosimili.

Ho letto e raccolto decine di articoli dell’Archivio storico dell’Unità, del Secolo XIX, della Stampa. Discorsi, interventi parlamentari, nel comitato centrale, articoli su Rinascita, Tribune politiche condotte da Granzotto e Jacobelli, biografie del Migliore. E parallelamente le Lettere pastorali di Siri oltre a alcune omelie registrate, interventi pubblici, interviste e libri sul Cardinale genovese. Mi hanno aiutato i figli di Giulio Andreotti che custodiscono l’archivio del padre, gli amici della Fondazione Ds, Luca Valenziano libraio cattolico e fornitore di molti testi essenziali.

E ho deciso di raccontarli in una sorta di personale antologia, non essendo uno storico ma un giornalista, aggiungendo come pretesto per il lungo racconto una storia romanzata, una fiction: la lunga chiacchierata notturna tra due vecchi amici comunisti, un portuale e un padroncino comunista e cattolico, in una notte di maggio del 1988 all’uscita da una trattoria del Carmine. L’articolo-rivelazione sull’incontro mancato è appena uscito, ma Bacci uno dei due amici rivela all’altro che no, non è andata proprio così. Che l’incontro tra Togliatti e Siri c’era stato, segretissimo, nella villa del Righi dove Siri trascorreva le vacanze, e che lui aveva accompagnato il capo comunista. Lui che lo aveva conosciuto in val d’Ossola quando Togliatti si era rifugiato a Toceno dopo l’attentato di Pallante, per seminare la folla di giornalisti e fotoreporter che l’aveva seguito nel ritiro di Orta. Ma non basta questa choccante rivelazione. Aggiunge Bacci cattolico iscritto al Pci, che per dieci anni lui era stato anche il postino segreto che aveva portato nove lettere che Togliatti e Siri, si erano scambiati commentando i grandi fatti di quel decennio: dall’attentato del 1948, alla scomunica dei comunisti voluta da Pio XII, dai preti operai francesi, all’elezione di Giovanni XXIII, dall’atomica ai missili con testate nucleari piazzati sulle navi italiane, fino al clamoroso discorso che Togliatti tenne a Bergamo nell’aprile del 1963 con una incredibile apertura alle “masse di lavoratori cattolici” e l’invito a un patto d’azione per lavorare insieme e due settimane dopo l’enciclica di Roncalli “Pacem in Terris” che, come commenterà il segretario comunista alla morte di papa Giovanni, era davvero “rivoluzionaria” perché “apriva” al dialogo anche con i marxisti.

Epistolario inventato, sia ben chiaro, scambio mai avvenuto, che ho costruito trasformando veri documenti di Togliatti e Siri in lettere, usando loro frasi e parole e aggiungendo al termine di ogni lettera una nota per indicare da dove erano state prese queste frasi.
Ne emerge, pur nella ferma posizione dei due personaggi, una comunanza di argomenti e certamente anche la conferma dell’interesse reciproco al dialogo. “La mia porta è sempre aperta a tutti” ripeteva Siri. Togliatti probabilmente vorrebbe far “uscire” i cattolici dalla Dc, spalmandoli su altri partiti primo il suo, Siri dimostra l’errore di cui fu vittima quando venne indicato semplicisticamente come “di destra” applicando erroneamente alla Chiesa il linguaggio della politica. Lui che convinse Pacelli a “neutralizzare” la scomunica, lui che creò a Genova i cappellani del lavoro, in fabbrica tra gli operai ma con la tonaca (padre Damaso confessore del cardinale era il cappellano nella tipografia genovese dell’Unità!) molto più efficaci dei “pretres ouvriers” francesi, lui che fu indicato dai sovietici come contatto per tentare di aprire un dialogo tgra Mosca e il Vaticano, lui che negli anni ’80 sarà chiamato dai portuali di Paride Batini a fare da estremo mediatore nella grande crisi che porterà alla privatizzazione in porto.