Liste d'attesa e mobilità passiva, ovvero le prestazioni sanitarie erogate ai cittadini in una regione diversa da quella di residenza, devono essere tenute sotto controllo. E il solo modo per farlo è quello di creare un patto per la Liguria tra sanità pubblica e privata. A lanciare l'idea a Primocanale, nel corso di "Terrazza incontra la sanità privata", è Francesco Berti Riboli, presidente di Confindustria Sanità Genova: "La sorella maggiore delle liste d'attesa è la mobilità passiva che è a sua volta generata dalle liste. Lanciamo da qui un patto per la Liguria per controllare le liste d'attesa, azzerare nei limiti del fisiologico la mobilità passiva. E perché non invertire la polarità e lavorare su un obiettivo di mobilità attiva? E' quel che dobbiamo fare. Certamente la mobilità passiva dobbiamo azzerarla per la media e bassa complessità: è uno scandalo che la chirurgia di media e bassa complessità venga esportata, con liste d'attesa anche nel privato accreditato delle regioni limitrofe".
Continua Berti Riboli: "Abbiamo una grande forza, il nostro digitale: oltre a Liguria Digitale ricordo anche un tessuto in Liguria, poche settimane fa è stato inaugurato Dedalus al Porto Antico, polo mondiale del digital health assistance. La criticità è invece la crisi di vocazione che va risolta per esempio in termini di premialità di carriera. Non possiamo perdere i medici di emergenza e gli intensivisti".
A Terrazza incontra Berti Riboli ha anche esposto i dati relativi agli ospedali privati, che in Liguria sono solo il 3%, più bassa rispetto alla media nazionale. "La media nazionale è del 75-76% di pubblico e un 24-25% di privato accreditato, In Liguria i numeri sono abbastanza ridimensionati, non andiamo oltre il 3-4%. Abbiamo al momento 4 strutture di cui due private accreditate e due non accreditate autorizzate con diverse progettualità. Dovrebbe aumentare il numero di posti letto a gestione privata ma dedicata a pazienti che sono coperti dalla spesa del fondo sanitario nazionale. C'è poi una piccola quota di privato che opera con un canale di finanziamento squisitamente privato, la sanità integrativa, fondi, assicurazioni, altri soggetti che rientrano poi nella grande famiglia recente del cosiddetto welfare aziendale", spiega ancora Berti Riboli.
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IL COMMENTO
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