GENOVA - Teme che una legge che regola il suicidio medicalmente assistito possa portare ad un'escalation indiscriminata di concessioni che vanno contro il principio di conservazione della vita Massimo Gandolfini, presidente nazionale di Family Day, che ha contattato Primocanale per intervenire nel dibattito sul fine vita. Dopo le posizioni favorevoli di Marco Cappato (LEGGI QUI), Laura Santi (LEGGI QUI) e dei politici liguri (LEGGI QUI) e quella di Franco Henriquet (LEGGI QUI), favorevole ma con alcune riserve, quella di Gandolfini è la prima posizione nettamente contraria alla legge, sia regionale che nazionale.
Innanzitutto, parliamo di fine vita. Come mai un'associazione che si chiama Family Day si occupa anche di questo tema?
La mia associazione nasce nel 2016 a seguito dei due Family Day che abbiamo organizzato, il primo nel giugno 2015 nella piazza di San Giovanni in Laterano e il secondo nel gennaio 2016 al Circo Massimo. Da qui nasce l'associazione e nello statuto c'è proprio la ragione per la quale nasce: uno dei punti è la difesa della vita e la promozione della vita dal concepimento alla morte naturale. Per cui noi lottiamo e ci occupiamo non soltanto della vita nascente, naturalmente anche quella, ma anche della vita nella sua fase terminale quindi coi temi di suicidio medicalmente assistito ed eutanasia.
Difendere la vita da che cosa?
Difendere la vita dagli attacchi che negli ultimi decenni purtroppo ha subito un bene così importante e fondamentale come la vita umana. Probabilmente la data di inizio di una condizione di questo genere risale al 1978, con l'approvazione della legge 194, e poi è andata avanti ulteriormente con varie altre disposizioni, come sono ad esempio la fecondazione artificiale, la procreazione medicalmente assistita, eccetera. E sul sul versante invece del fine vita, appunto quello che stiamo vivendo proprio in questi anni e mesi, con la richiesta di leggi pro eutanasia o con la richiesta di leggi pro suicidio medicalmente assistito.
Cos'è che non la convince quindi della legge per il suicidio assistito? Il suicidio medicalmente assistito è stato normato di fatto con con la sentenza Antoniani-Cappato e dà dei paletti ben precisi, si rifà ad un principio che è quello dell'autodeterminazione e alla possibilità del paziente di sospendere le proprie cure. Di fatto quello che la sentenza vorrebbe aiutare a fare è dire 'ma perché se un paziente può sospendere le proprie cure e di fatto lasciarsi morire, allora non dovrebbe essere possibile consentirgli di accedere al suicidio medicalmente assistito, evitandosi giorni di attesa e sofferenze, ma andando diciamo subito incontro a quello che desidera'?
Rispondo alla prima parte della sua domanda e poi la seconda. La prima parte cioè la questione fondamentale per la quale noi lavoriamo e ci impegniamo sempre di più e ogni giorno è proprio la difesa della vita in quanto la vita è un bene indisponibile alla persona perché è il bene che fonda tutti gli altri beni e tutti gli altri diritti. Noi siamo assolutamente convinti che se viene violato il diritto alla vita e quindi viene violato il bene vita cadono poi come un domino anche tutti gli altri diritti. Il bene della vita è un bene fondamentale che va riconosciuto, va garantito e va tutelato. Quindi qualsiasi tipo di di scelta legislativa o di scelta giuridica che vada ad offendere la vita noi la troviamo estremamente dannosa e pericolosa. La vita, ripeto, è per noi un bene indisponibile anche alla volontà del paziente. E in questo senso voglio far presente che in realtà questa non è una novità assoluta perché la nostra Repubblica con la Costituzione, e quindi col diritto positivo che poi proviene dalla dalla Costituzione, riconosce alcuni diritti fondamentali che sono inalienabili e quindi come tale non sono neanche a disposizione del soggetto. Faccio un esempio per chiarire il concetto: il diritto alla libertà, perché la libertà bene fondamentale, è un diritto che non è a disposizione del soggetto. Una persona non può rinunciare alla propria libertà ponendosi in condizione di servitù o di schiavitù verso un'altra persona, perché il diritto alla libertà è un diritto inalienabile. Noi siamo convinti che anche il diritto alla vita sia un diritto inalienabile. E del resto che tutta la giurisprudenza riconosca delle fondamenta sulla quale poi costruire tutto l'edificio non è per nulla una una novità in temi decisamente meno meno pesanti ma comunque importanti dal punto di vista della costruzione del bene comune della vita civile. Faccio l'esempio dello Statuto dei lavoratori: nello Statuto dei lavoratori ci sono dei diritti che sono fondamentali, che vengono tutelati e che non sono disponibili al lavoratore stesso. Il lavoratore non può fare a meno di usufruire di quei diritti perché quei diritti non sono disponibili al soggetto stesso, quindi non è per nulla una novità. Oltretutto, trattandosi del diritto a questo bene fondamentale che è il bene della vita, credo che una tutela speciale e particolare sarebbe assolutamente necessaria. Seconda parte della sua domanda, la dichiarazione della Corte costituzionale la sentenza 242. Voglio precisare i termini della questione: quella è una sentenza che ha riguardato la faccenda dell'articolo 580 del Codice penale in occasione della del problema che ci fu fra quel dj, dj Fabo, e Cappato che ha accompagnato in Svizzera questo ragazzo che ha chiesto di essere sottoposto al suicidio medicalmente assistito. La sentenza 242 sull'articolo 580 e istigazione al suicidio ha posto dei paletti ben precisi riguardante, ripeto, l'aiuto ed istigazione al suicidio. Non ha di fatto posto una sorta di diritto al suicidio. Le cito testualmente il paragrafo cinque del della dichiarazione 242 che dice: "La presente declaratoria di illegittimità costituzionale si limita ad escludere la punibilità dell'aiuto al suicidio nei casi considerati - e qui viene il clou - senza creare alcun obbligo di procedere a tale aiuto in capo ai medici in quanto rimane il dovere dello Stato di tutelare la vita di ogni individuo, non quello diametralmente opposto di riconoscere all'individuo la possibilità di ottenere dallo Stato o da terzi un aiuto a morire. Questo al paragrafo 2,2. Per cui quella sentenza riguarda la fattispecie dj Fabo-Cappato pone dei dei paletti diciamo così dirimenti rispetto alla sanzione penale che l'articolo 580 prevedeva ma non non dà di fatto apertura al cosiddetto diritto al suicidio. Prova ne sia che la Corte costituzionale non smentisce se stessa perché nella sentenza 50 del 2022 a proposito del referendum popolare dell'Associazione Luca Coscioni dichiarava che la libertà di autodeterminazione, quindi anche la richiesta di essere sottoposti a suicidio medicalmente assistito, non può mai prevalere incondizionatamente sulle ragioni di tutela del bene vita risultando necessario un bilanciamento che assicuri la una tutela minima. E la Corte si muove per peraltro anche all'interno diciamo della giurisprudenza europea perché fa riferimento alla sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo del 29 aprile 2022 Pretty vs Regno Unito nella quale si dichiara che non può derivare un diritto a rinunciare a vivere cioè una sorta di diritto al suicidio quindi con diritto al suicidio non c'è. Per carità è un tema che potrebbe anche essere posto ma deve essere posto nella sede opportuna. E la sede opportuna non sono sicuramente i Consigli regionali ma casomai il Parlamento dello Stato.
Quello che vogliono fare i Consigli regionali dare dei tempi certi ai malati che fanno richiesta di una Commissione per per poter accedere al suicidio assistito perché di fatto ci sono casi che sono stati analizzati anche dopo anni. Io ho raccolto l'appello di Laura Santi che è passata in Commissione dopo un anno e mezzo e quello che vogliono fare le leggi regionali invece è dire che ci deve essere un limite di tempo che è stato fissato in venti giorni, per cui il sistema sanitario si deve adoperare e dare una risposta a queste persone. Ecco, lei a proposito dell'appello di Laura Santi, che la ringrazio per aver ascoltato, che cosa pensa?
Innanzitutto la prima parte. Le Regioni potrebbero essere competenti dal punto di vista dell'organizzazione amministrativa ma c'è un presupposto fondamentale che in questo caso in questo momento manca, cioè se ci fosse un diritto al suicidio medicalmente assistito stabilito per legge. Se ci fosse una una legge dello Stato che dichiara che questo è un diritto a questo punto ogni Regione dovrebbe cercare di organizzarsi per renderlo fruibile, fattibile con tutto ciò che una organizzazione di questo genere richiede. Ma è una condotta decisamente impropria, perché manca il presupposto, il fatto di dire organizziamoci a livello regionale perché non si può organizzare un qualcosa che non è stabilito e definito per legge e la legge dipende dal Parlamento. Per quanto riguarda l'appello della signora mi ha veramente molto commosso molto colpito, perché sia ben chiaro che la nostra battaglia non riguarda le persone in particolare. Tutte le persone hanno assolutamente diritto ed è nostro dovere di accudire di comprende e di seguire eccetera. Qui riguarda una fattispecie che riguarda lo Stato italiano che riguarda tutti i cittadini italiani. Quindi prescindendo dal caso particolare l'appello che accolgo da parte di questa signora e naturalmente anche di tanti altri è a dire 'possiamo noi comunque aiutare queste persone accompagnandole nel corso di una malattia come quella della signora, la sclerosi multipla che ha un andamento enormemente lungo e con una variabilità di sintomi notevole, a maggior ragione quando si tratta di soggetti che hanno malattie con decorsi particolarmente lunghi, quello che noi dobbiamo fare è prenderci cura della loro sofferenza, che è sofferenza fisica, ma è anche sofferenza morale, spirituale, sentimentale, attraverso una fattispecie che l'Italia ha ottimamente normato ma purtroppo non altrettanto ottimamente concretizzato, che è l'applicazione della legge 38 del 2010 della medicina palliativa su tutto il territorio nazionale. Una battaglia che noi in questo momento stiamo portando avanti anche proprio a livello di Corte costituzionale, per la quale ci siamo diciamo costituiti parte in oggetto presso la Corte costituzionale è proprio questa. E dire: in Italia noi abbiamo una legge che può aiutare le persone ad affrontare condizioni di sofferenza fisica e psichica. Questa legge la si applichi innanzitutto e si faccia in modo di poter curare le persone piuttosto che in modo di poterle eliminare. Perché, ripeto, la legge ha anche un valore pedagogico di grandissima importanza. La storia degli altri Paesi ce lo insegna: quando in una in una diga, e la diga è tutelare la vita dal concepimento alla morte naturale, si apre uno spiraglio è solo questione di tempo. Prima cade un mattoncino, poi ne cadono due, poi ne cadono tre, poi ne cadono cinque e quello che era un piccolo spiraglio diventa uno squarcio. Questo è accaduto negli altri paesi. Voglio ricordare a tutti che in Olanda nel 2001 l'eutanasia era stata semplicemente depenalizzata, cioè era ancora normata in maniera negativa però non c'era la sanzione penale dietro. Un anno dopo, 2002, è stata legalizzata e quattro anni dopo è stato diciamo composto e accettato il cosiddetto protocollo di Groeningen che ha permesso l'eutanasia in ragazzi di 14 anni per condizioni di sofferenza psichica. Questo che noi chiamiamo pendio scivoloso dovrebbe a tutti noi evocare un sano principio di precauzione: non mettiamoci su un pendio scivoloso che forse all'inizio ha anche delle intenzioni come dire buone e socialmente diciamo condivisibili e poi dopo va a finire purtroppo come sta andando a finire. Ho dati spaventosi ad esempio del Canada in cui le persone che stanno chiedendo suicidio medicalmente assistito sono esponenzialmente aumentate perché la legge crea anche un costume, ha un valore pedagogico, crea una mentalità. Se noi cominciamo a dire che una persona che si trova in gravi condizioni con malattie ad esempio oncologiche, in gravi condizioni di sofferenza, se questa persona può essere aiutata a morire vuol dire dal punto di vista diciamo culturale e sociale che quelle vite che sono indegne di essere vissute, sono vite diciamo di secondo livello e che come tale possono anche essere eliminate con l'aiuto dello Stato. Mentre noi vogliamo mantenere alto il livello: il bene vita lo Stato lo deve tutelare e non deve eliminare vite fatte di sofferenze. Aiutarle sì, con tutti gli strumenti che oggi la medicina palliativa ha in mano ma non quello di aiutare a morire.
Comunque deve esserci un'analisi medica del paziente: è la Commissione sanitaria che dice se il paziente può accedere o meno al suicidio assistito e quindi di fatto è una valutazione scientifica, medica appunto, non penso che si correrebbe il rischio di questo allargamento a macchia d'olio. Si tratterebbe più che altro di stabilire una tutela, dicono quelli che sono a favore, della dignità della vita: perché lei per esempio non è d'accordo con questa affermazione? Perché secondo me il punto non è tanto 'vite non degne di essere vissute', queste persone fanno richiesta per una situazione di profonda sofferenza, di malattie inguaribili e per esempio Laura Santi diceva che lei voleva avere anche solo una porta aperta, sapere che nel momento in cui non dovesse farcela più può accedere a questo.
Lei ha citato più volte anche in questo momento i paletti posti dalla sentenza 242 della Corte costituzionale. Questi paletti sono piuttosto generici e devono essere definiti in maniera chiara e inequivoca proprio dal punto di vista scientifico. Ci vuole una commissione medica che possa valutare ad esempio quali sono le condizioni per la quale noi diciamo che quella terapia è una terapia di sostegno vitale, di cui parla ad esempio la uno dei paletti porte posti dalla Corte costituzionale. Che cos'è il sostegno vitale? Perché nell'immaginario collettivo il sostegno vitale è la respirazione e la ventilazione automatica, soggetto intubato e attaccato a un ventilatore automatico. Già, ma va specificato che è così perché purtroppo sta accadendo che le cose non stanno andando in questo modo. Io ho presente il caso di una donna veneta la quale ha chiesto di essere sottoposta al suicidio medicalmente assistito, cosa che le è stata è stata praticata, perché era in terapia da più di vent'anni per una malattia inguaribile (le malattie possono essere inguaribili, nessuna malattia è incurabile) ma che però da vent'anni le stava garantendo una qualità di vita assolutamente normale, da vent'anni non da due mesi. Questa signora a un certo momento dice 'io mi sono stancata di fare chemioterapia e questo a questo punto decido di morire'. Capisce che aprire, pensare che un'interruzione di sostegno vitale, una malattia, una terapia che per anni ha garantito una sopravvivenza con qualità di vita decisamente buona è una fattispecie che è assolutamente inaccettabile. Faccio sempre un esempio, che è un esempio limite ma che rende l'idea: se accettiamo un principio di questo genere, il diabete è una malattia inguaribile ed è legata ad un sostegno vitale che si chiama insulina. Se noi entriamo in questa fattispecie vuol dire che un paziente diabetico che non ha più voglia di farsi l'insulina può decidere di essere sottoposto a suicidio medicalmente assistito. Ecco perché bisogna stare molto attenti quando si trattano argomenti di una delicatezza enorme, non possono essere tagliati col coltello, devono essere sezionati per andare a vedere veramente come stanno le cose. L'altra cosa molto importante è questa: questa signora chiede un aiuto e l'aiuto c'è, l'aiuto si chiama medicina palliativa. A questa signora possiamo dirle che la possiamo accompagnare, lei e i suoi familiari, perché la medicina palliativa prende in carico anche la sofferenza dei familiari accompagnando questa persona che magari durerà in vita ancora chissà quanti anni ad una morte assolutamente dignitosa, perché abbiamo oggi tutti gli strumenti per sedare il dolore fisico e può essere accompagnata alla morte naturale. A mio avviso questo è quello che fa una società civile. Una società che invece di fronte alla sofferenza di una persona, perché è chiaro che questa persona sta soffrendo e quindi il suo panorama di vita è spaventosamente ristretto perché è molto condizionato da quella condizione, l'unica risposta che lei sa dare è quella di prendere atto che è una condizione di sofferenza e quindi io elimino la sofferenza eliminando il sofferente la trovo dal mio punto di vista una pratica che non esito a chiamare incivile. Una nazione, un popolo civile accompagna i suoi cittadini più fragili e più deboli, non li accompagna alla morte in nome di una sofferenza che può essere comunque lenita perché questa è una fattispecie secondo me inaccettabile.
Intanto chiariamo che i diabetici non potrebbero accedere al suicidio assistito perché comunque la malattia deve essere anche fonte di sofferenze fisiche o psicologiche intollerabili e quindi insomma, non è il caso del diabete. Quindi capisco l'esempio, ma mi sembrava comunque doveroso fare questa precisazione.
Mi scusi se la interrompo: parla di sofferenze che vengono dichiarate dal soggetto intollerabili, cioè è il soggetto che decide per me questa sofferenza non è accettabile. Quando le ho fatto l'esempio di quella signora veneta, quella signora non aveva dolori fisici, quella signora stava vivendo da vent'anni e a un certo momento ha detto 'per me andare avanti con una chemioterapia non è più accettabile' ed è un criterio che è stato accettato. Mi scusi, nell'esempio a un certo momento un soggetto che da trent'anni si sta facendo quattro insuline al giorno dice 'io sono stufo di farmi quattro insuline al giorno' e chi può dirgli che non è giusto fare così se lui è l'unico arbitro di se stesso e quindi con una fattispecie che la legge gli consente, dichiara che per lui quella è una sofferenza non più accettabile? Ecco perché dico che queste condizioni vanno studiate con con il microscopio elettronico, non con la lente di ingrandimento.
Non sarebbe l'unico arbitro perché di fatto c'è una Commissione di medici e un comitato etico che valutano la richiesta quindi in realtà immagino che di fronte ad una situazione del genere si possa facilmente dire di no. Del resto ci sono state situazioni anche più gravi come quella di Laura Santi per esempio che sono state respinte dalle Commissioni quindi diciamo che per il momento direi che se si ha davanti dei medici coscienziosi che fanno bene il loro lavoro non dovrebbe esserci questo rischio. E tra l'altro mi aggancio ad una cosa che lei diceva prima: quella delle cure palliative. Avere una legislazione sul fine vita aiuterebbe anche le persone che possono accedere alle cure palliative, che hanno diritto di accedere alle cure palliative e che ne trarrebbero beneficio a poterlo fare, con la consapevolezza che il loro caso magari non rientra nella fattispecie dei pazienti che possono accedere al suicidio assistito. Quindi di fatto non sono due argomenti che si escludono. Per quanto riguarda il caso di Laura Santi in realtà la sua è una patologia progressiva particolare e combinata con determinate allergie per cui in realtà le cure palliative con lei semplicemente non hanno funzionato. In generale c'è un po'questo contrasto cure palliative-suicidio assistito che forse non dovrebbe esserci, sono due aspetti complementari.
Sì la ringrazio della domanda, per il resto mi dà mi dà l'occasione anche per chiarire: lei ha parlato del diritto ad accedere alla medicina palliativa e quindi alle cure palliative, un diritto che è sancito dalla legge 38 del 2010. Bene, questo diritto è sancito e scritto nero su bianco ma nella realtà di tutti i giorni purtroppo è un diritto dichiarato ma in molte condizioni non fruito. È una delle ragioni per la quale noi ci siamo rivolti alla Corte costituzionale dicendo 'questo famoso passaggio attraverso la medicina palliativa, che è un prerequisito per chiedere il suicidio medicalmente assistito, come può il cittadino usufruirne' se la condizione in Italia è quella che adesso le le descrivo: la legge 38 in Italia è finanziata per il 30% rispetto alle necessità. Faccio un esempio numerico per rendere il concetto chiaro: per quanto riguarda gli hospice, in Italia sono 240 con un totale di 2777 posti letto su tutto il territorio nazionale. In Lombardia, io vivo a Brescia, gli hospice sono 69, in Campania i posti letto dedicati alla medicina palliativa sono 90, mentre Regione Lombardia sono 832. In Liguria i letti sono 80, nelle Marche 68, in Piemonte di hospice sono 16. C'è una disparità da regione a regione enorme. Se poi andassimo a valutare gli hospice pediatrici, per le malattie inguaribili pediatriche, a fronte di 30mila minori che avrebbero bisogno di hospice, in Italia gli hospice sono otto e rispondono alla copertura del 18% del fabbisogno. A questo punto noi diciamo: questo prerequisito che viene sancito dalla Corte costituzionale stessa come è fruibile se c'è una disparità di questo genere sul territorio nazionale? Allora i fondi che dovrebbero essere stanziati per i comitati etici, per i comitati tecnici del territorio dei vari ospedali e delle varie Ats su tutto il territorio nazionale incominciamo a impiegarli in maniera proficua e virtuosa rendendo fruibile realmente il diritto alla medicina palliativa, e in un secondo momento saremo in grado di valutare davvero quante sono le persone che nonostante siano passate attraverso un percorso di medicina palliativa ancora richiedono il suicidio medicalmente assistito. A me c'è un dato personale che ha sempre molto colpito. Brescia è stata la prima città in Italia ad avere un hospice dedicato ai pazienti terminali: su 4000 pazienti ospitati nell'ospedale nostro di Brescia le richieste eutanasiche sono state due e queste richieste non sono venute dal soggetto interessato, dal soggetto malato, ma dei suoi parenti. Questo la dice lunga. Se davvero ci fosse un piano esteso territorialmente fruibile da parte di tutti i cittadini di medicina palliativa, sicuramente le richieste di eutanasia o di suicidio assistito cadrebbero. Poi, per quanto riguarda l'esempio della signora Santi di cui parlavamo poc'anzi, a cui va data tutta la comprensione e la condivisione umana possibile. Attenzione: le leggi non si scrivono sui casi singoli, le leggi devono prendere in considerazione la globalità della cittadinanza. I casi singoli devono essere rispettati, devono essere accuditi, seguiti in tutti i modi. Ma quando scriviamo una legge scriviamo una norma universale. Non esiste una legge perfetta che possa circoscrivere dentro un una circonferenza chiusa tutti i suoi cittadini. Ci saranno sicuramente delle eccezioni fuori che vanno comunque prese in considerazione ed aiutate ma la legge va scritta su dei principi universali. Il principio universale è che il bene vita non è un bene disponibile da parte del soggetto perché è fondante tutti gli altri beni.
L'esempio di Laura Santi serviva per dire che non è sempre vero che le cure palliative sono un'alternativa al suicidio assistito, sono due percorsi paralleli e non per forza alternativi l'uno all'altro e quindi questo era l'aspetto che che volevo mettere sotto la lente di ingrandimento. Lei parla parla molto di difesa del valore vita, molto comprensibilmente anche, però per esempio il tentato suicidio in Italia non è reato.
Sì il tentato suicidio non è reato ma è una diciamo logica conseguenza prima della Carta costituzionale e poi del diritto positivo che è derivato dalla scrittura del Codice civile e penale e che sono derivate dalla Carta costituzionale. Perché giustamente ci si è posti di fronte alla condizione di un soggetto che tenta di suicidarsi: una persona che tenta di suicidarsi è una persona che ha dentro di sé una sofferenza oserei dire esistenziale talmente profonda che sta annullando la pulsione primaria che tutti i soggetti umani esistenti sulla faccia della terra hanno, che è la pulsione della sopravvivenza, del mantenimento della vita. La seconda funzione primaria è la riproduzione. Quando un soggetto arriva a pensare che è meglio morire piuttosto che continuare a vivere, è chiaro che sta vivendo una condizione esistenziale umana talmente sconvolgente che gli annebbia addirittura il desiderio e il diritto di vivere. Ora, se un soggetto che tenta il suicidio anche lo penalizziamo... Faccio un esempio di esperienza personale: io ho lavorato 40 anni in ospedale i primi cinque anni in pronto soccorso, dove arrivavano persone che si erano prese pillole, che avevano bevuto candeggina, cioè che avevano tentato il suicidio, la prima cosa che abbiamo fatto è stata quella di salvaguardare la vita, non di lasciarlo morire perché aveva deciso di di sottoporsi al suicidio. Perché si parte dall'idea che quella è una persona che ha bisogno di essere assistita, condivisa, accompagnata, accudita, seguita. Lei provi a pensare se di fronte a una persona che ha fatto così l'abbiamo aiutato, gli abbiamo salvato la vita abbiamo incominciato magari a recuperarlo attraverso gli assistenti sociali in ospedale poi dovesse cadere in una fattispecie per la quale per il tentato suicidio deve andare anche in galera perché ha tentato il suicidio, ma sarebbe una cosa da mettere in allarme e giustamente il legislatore se n'è fatto ai tempi carico per cui è chiaro che il tentato suicidio non è perseguibile dal punto di vista diciamo del del contenzioso del carcere o di pene, è una persona che soffre prendiamoci cura. Del resto scusi, io molte volte lo dico anche un po' sorridendo: ma chi di noi vedendo una persona che è sul parapetto che si sta per buttare dal ponte gli passa vicino e gli dà una spinta? Ma a chi verrà in mente di fare una cosa del genere perché lui si sta determinando verso il suicidio? Se si sta per buttare al parapetto, evidentemente vuole uccidersi, ma è umano, è iscritto nella nostra natura. Il fatto di vedere una persona che sta per uccidersi vuol dire che soffre e cerco di salvarlo. Ecco: questo è quello che devono fare la medicina e lo Stato.
Sì, poi in realtà ci sono anche tante persone che la vita gli altri la tolgono... Quello che volevo dire è che comunque la Corte stabilisce che il richiedente, il malato, deve essere capace di intendere di volere, quindi secondo lei perché verrebbe meno questa capacità di autodeterminarsi? Perché è comprensibile metterla in dubbio in una persona che tenta il suicidio, come nell'esempio degli psicofarmaci o di una persona che si vuole buttare, forse in questi casi c'è una persona la cui capacità di autodeterminarsi potrebbe essere soggetta a delle questioni magari patologiche particolari che possono indurla a questo tipo di gesti. Mentre qui siamo all'interno di una fattispecie diversa dove c'è una persona in grado di intendere di volere, che di fronte ad una malattia incurabile e a gravi sofferenze psicologiche e fisiche fa una scelta razionale.
Le rispondo con una con una domanda: chi ci dice che una persona che ha un cancro avanzato, che però stiamo curando bene dal punto di vista del dolore, chi ci dice che la scelta che vuole fare di essere sottoposto al suicidio medicalmente assistito è una scelta che prende in assoluta chiarezza, limpidezza di pensiero, di autodeterminarsi è coerente, di lucidità piena? È una persona che comunque sta vivendo una condizione di sofferenza e tutti noi sappiamo che la sofferenza chi più chi meno ma circoscrive notevolmente il nostro il nostro campo di vita esistenziale. Per cui se partiamo da un punto di vista che per il fatto che una persona è lucida e consapevole e può quindi autodeterminarsi in maniera chiara anche se ha una condizione di questo genere, capisce che riuscire a stabilire quanto quella patologia che la sta accompagnando sia in grado di poter alterare anche la propria lucidità di mente è veramente molto molto difficile. E poi ripeto: il principio di autodeterminazione come tutti gli altri principi che tutelano grandi valori sono dei principi che devono avere dei paletti, devono avere dei limiti, non può esistere una autodeterminazione su ogni ambito assolutamente priva di limiti.
Io alla sua domanda rispondo che a potercelo dire sono la Commissione sanitaria che si occupa di analizzare il caso e il Comitato etico. Però io le vorrei fare una domanda. Non voglio dire che lei abbia detto questo, però qual è il vantaggio che ha una persona a scegliere di morire? Perché io è questo che che non riesco a capire dalle sue parole, perché una persona dovrebbe dire 'per me va bene così' e aver preso in qualche modo una scorciatoia?
No assolutamente non è una scorciatoia. Io quello che metto in discussione profondamente è quanto una persona che si trova in una condizione di sofferenza è davvero libera di scegliere in maniera chiara e assolutamente lucida. Questo lo metto in discussione, non che sia una scorciatoia, non voglio pensare questo perché darei un giudizio morale su quella persona e me ne guardo bene dal dare giudizi morali su chiunque. Però le voglio fare una un'altra obiezione: lei dice 'beh è una commissione medica che lo decide'. Io sono medico, neurochirurgo e psichiatra; il medico che ha accompagnato a morte assistita dj Fabo è pure un medico, pure laureato in Italia, pure anestesista rianimatore e di fronte alla stessa condizione io ho giudicato in un modo e lui evidentemente ha giudicato in maniera esattamente opposta, proprio perché la medicina non è l'aritmetica che due più due fa sempre quattro. Dipende. La medicina ha delle delle fondamenta che sono delle fondamenta antropologiche ed esistenziali. La medicina ippocratica, non sto facendo nessuna confessione di ordine religioso, 360 anni prima di Gesù Cristo diceva che è compito della medicina è salvare la vita, tutelare il più possibile la salute e lenire il dolore. Questi sono i compiti della medicina. Se noi stessimo a questi, la discussione che stiamo facendo molto bella molto interessante sarebbe già finita perché nessun medico potrebbe provocare la morte di un'altra persona. Poi ribadisco il concetto fondamentale: il bene vita è un bene che lo Stato deve tutelare a 360 gradi, non ci possono essere spiragli. Voglio anche far presente un'altra cosa anche se forse ci porta un po'fuori però diciamo nella discussione generale vorrei anche sottoporre questo. Nel 2007 l'Onu ha fatto una declaratoria per una moratoria sulla pena di morte e quasi tutti gli Stati, non tutti, l'hanno sottoscritta. Però la cosa che mi ha colpito è che l'Onu ha proposto questa moratoria sulla pena di morte dicendo che 'il bene vita è un bene talmente importante, talmente fondamentale, di così grande valore che anche una persona che abbia commesso crimini efferati, una strage, un omicidio brutale, neppure a una persona così può essere passibile di togliergli la vita'. Perché il bene vita è un bene fondamentale. Allora io dico: se questa impostazione è l'impostazione di una società veramente civile il bene vita non può essere alienato in nessun modo, neanche se il soggetto stesso lo richiede. Perché partiamo dall'idea che se che questa è la sua richiesta è un grido di allarme, è un grido di aiuto a cui noi dobbiamo dare risposta e la risposta non è ripeto eliminare il sofferente.
Però comunque tutta questa discussione parte dal fatto che in Italia è possibile sospendere le proprie terapie e quindi poi a cascata sono arrivate tutte le altre considerazioni, quindi lei vorrebbe andare a rivedere questo principio.
Quando ci fu la legge nel 2017 sulle disposizioni anticipate di trattamento io insieme ad altri feci di tutto per cercare di limitare al massimo queste disposizioni anticipate e soprattutto per non dare alle disposizioni anticipate un valore rigoroso e diciamo incontestabile. Io sono del parere che il consenso informato è di grandissima importanza e il consenso informato fa riferimento all'articolo 32 della Costituzione, cioè "nessuno può essere sottoposto al trattamento sanitario obbligatorio alle cure se non per disposizioni di legge", per cui è legittimo che il soggetto scriva quelle che io non volevo chiamare disposizioni ma dichiarazioni. Il soggetto giustamente fa presente quali sono i suoi desiderata, che è anche diciamo così una descrizione del del suo modo di vedere la vita. I filosofi tedeschi la chiamavano 'weltanschauung' il mio modo di vedere la vita, perché questo è un elemento per noi medici che entra in gioco nel determinare se quella cura per quel determinato soggetto è appropriata o non appropriata. Quindi ha questo valore ma renderlo normativo, per cui io non posso più sottrarmi a questo diritto dichiarato, perché a ogni diritto corrisponde poi un dovere, per cui io debba sottoporre questo soggetto a morte o a sospensione di sostegno vitale io l'ho considerato un un passo sbagliato. Voglio anche fare presente una cosa comunque: che nella proposta della cosiddetta legge Cappato non è prevista neanche l'obiezione di coscienza, cosa gravissima in uno Stato democratico. Impedire l'obiezione di coscienza vuol dire che se il signor Rossi ha deciso di andare incontro al suicidio medicalmente assistito io medico ho l'obbligo di ottemperare al suo diritto perché se è un diritto io ho il dovere di rendere concreto e fruibile questo diritto, e se non c'è l'obiezione di coscienza io devo andare a fare qualcosa che è contro la mia coscienza. È una cosa gravissima inaccettabile.
Se una persona può decidere di sospendere le proprie cure, perché è un medico di fronte a questa richiesta dovrebbe curare lo stesso una persona?
Io una cura di sostegno vitale non non la sospendere mai. Io ho fatto il neurochirurgo ripeto per quarant'anni, abbiamo salvato migliaia di vite grazie al fatto che quando erano in coma sono stati intubati, li abbiamo operati e hanno superato la loro fase e sono ritornati, alcuni purtroppo con dei deficit, altri no e sono ritornati alla vita. Sospendere una una cura di sostegno vitale, un trattamento sanitario, significa uccidere quella persona. Io vi dico in coscienza credo innanzitutto credo che un medico questo non sia mai dico mai legittimato a farlo e io personalmente non lo farei mai.
Però è un desiderio del paziente, non un gesto compiuto dal medico, quindi di fatto sarebbe un suicidio e non un omicidio.
L'agente di quella morte sono io. Mi richiama molto di più l'omicidio del consenziente: lui è consenziente perché l'ha chiesto e io però lo metto in atto. Io credo che questo sia, ripeto, dal punto di vista non soltanto morale di coscienza personale ma direi anche deontologico, inaccettabile. La medicina non è nata per questo.
Per quanto riguarda per esempio alcuni casi molto gravi di persone come dj Fabo, una persona costretta a letto attaccata a macchinari di sostegno vitale. Perché una persona che di fatto sopravvive ma non riesce a vivere appieno la propria vita secondo lei comunque non potrebbe prendere questa decisione? Non c'è secondo lei un confine che si valica quando si vive una situazione come quella in cui si è trovato dj Fabo?
No, il principio è un principio fondamentale e ripeto, è un principio che non ammette deroghe. È un principio talmente fondamentale, talmente basilare, sulla quale comporre tutta la vita di un popolo che è un principio che non ammette deroghe. Che la persona in condizioni particolari umanamente possa richiederlo io questo non lo metto minimamente in dubbio e lo posso senz'altro capire, la risposta secondo me è quella comunque di stare sempre vicino a questa persona ma non certamente quella di determinare la morte. Purtroppo nella vita delle persone, di tutte le persone, ci sono degli eventi imprevisti e imprevedibili che possono essere particolarmente dolorosi, ma non possiamo pensare di costruire una legge fatta su queste condizioni molto particolari, anche per tutte le ricadute che ho già detto: una legge che rendesse il bene vita fruibile e disponibile da parte di una persona è una legge che si preannuncia foriera di grandi aperture e di grandi abusi. Purtroppo è quello che già sta succedendo. Faccio presente che in Olanda nel 2022 delle persone che hanno chiesto di essere sottoposte a eutanasia, il 3% ha dichiarato che quella persona doveva essere sottoposta a eutanasia non in base alla richiesta dalla persona, ma in base alla richiesta di un giurì esterno che ha determinato che quella era una vita che era inutile tirare avanti, che doveva essere eliminata. Questo è successo nella civilissima Olanda, in un Paese che ha legalizzato l'eutanasia nel 2002. A ulteriore riprova di quello che ho già detto che quando si apre uno spiraglio in un principio così importante e fondamentale col tempo può accadere di tutto. È davvero un domino, non è un eccesso fare l'esempio delle tesserine che si abbattono una dopo l'altra.
A conclusione di tutte le interviste che ho fatto per per questo reportage sul fine vita ho fatto una domanda molto personale e la voglio fare quindi anche a lei: voglio chiederle che cos'è per lei la morte.
Non voglio universalizzare il sentimento che io provo in coscienza di fronte alla morte. La morte per me è un passaggio. Io sono assolutamente, profondamente convinto che dopo la morte esiste una vita che io chiamo vita eterna, per cui la morte è una porta che si apre non sull'abisso, ma su di una vita in pienezza, su una vita in totalità, che è quella alla quale personalmente aspiro maggiormente.
Lei crede che che questa convinzione sia determinante nella sua difesa della vita e nel suo contrastare una legge sul suicidio assistito?
No, io questo non lo credo assolutamente anche se sono profondamente credente in quel senso ma la base delle mie determinazioni non è la mia coscienza religiosa. Io parto soprattutto essendo medico, ripeto sono laureato da 47 anni. Il mio punto di partenza è esattamente la deontologia medica. Mi permetta di fare prima una battuta e poi concludo seriamente: la battuta è che io ho fatto sei anni di medicina cinque anni di neurochirurgia cinque anni di psichiatria, per cui ho studiato la bellezza di 16 anni per fare che cosa? Per mettere una flebo con un'alta concentrazione di cloruro di potassio così il soggetto muore? No, la medicina non è nata per questo. La medicina è nata per difendere la vita, per tutelare la salute e per lenire il dolore. Queste sono le mie convinzioni più profonde dal punto di vista professionale ed è sulla base di queste che sono contrario sia all'eutanasia che al suicidio medicalmente assistito e che invece patrocino con tutto me stesso. La medicina palliativa perché la vedo come una risposta globale alla sofferenza.
IL COMMENTO
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