
Amedeo Matacena, figlio dell’omonimo armatore che iniziò nel 1965 il traghettamento dello Stretto di Messina, si sarebbe rivolto, secondo la Cassazione, alle cosche storiche della mafia calabrese - Piromalli, Nasone, Rosmini, Condello, Pino, Gallico – chiedendo aiuto per la sua scalata politica, iniziata nel 1994 e conclusasi nel 2001. In cambio l’ex deputato di Forza Italia avrebbe concesso assistenza giudiziaria e interessamenti in vicende processuali riguardanti esponenti di questi clan.
Con l’aiuto di 18 pentiti la Dia di Reggio Calabria era riuscita a ricostruire tutti i rapporti tra Matacena e i boss della ‘ndrangheta. Dalla ricostruzione di questi legami gli inquirenti hanno ottenuto una serie di riscontri che riguardavano le pressioni esercitate dai mafiosi per consentire la scalata politica di Amedeo Matacena. Si parte dalle competizioni elettorali del 1988 per il rinnovo del consiglio comunale di Scilla, per proseguire con la candidatura alle regionali del 1990, per finire poi con la prima elezione al parlamento nazionale di Amedeo Matacena, nel 1994.
Quando per i suoi problemi giudiziari l’ex parlamentare non fu riconfermato, su richiesta di Fini, Matacena sbottò e in un’intervista al Corriere della Sera disse: «Ritengo di essermi comportato da amico con il presidente Berlusconi. Sono andato a Palermo a testimoniare al processo di Dell’Utri contro Rapisarda. Mi sono trascinato dietro altri testimoni che avevano perplessità a raccontare i fatti per come si sono svolti. Ritengo che quella testimonianza sia stata fondamentale per smontare il teste Rapisarda. Poi su richiesta di Berlusconi, sono andato a testimoniare a Caltanissetta contro la Procura di Palermo».
IL COMMENTO
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