cronaca

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La corte d'assise d'appello di Genova ha condannato rispettivamente a dieci anni di reclusione la madre ecuadoriana e a sette anni e otto mesi il patrigno albanese di una bambina all'epoca dei fatti dodicenne che, secondo l'accusa, sarebbe stata costretta a subire l'umiliazione di mangiare gli avanzi di cibo in una ciotola, a servire in tavola e a rispondere sempre 'comandi'. La corte d'assise d'appello ha ritenuto sussistente il reato di riduzione in schiavitù. Secondo quanto riferirono gli investigatori, la bimba veniva anche chiusa sul balcone e costretta a restarvi per ore, al freddo, con addosso solo il pigiama o la biancheria intima.

In primo grado i giudici avevano inflitto otto anni alla donna e sei anni all'uomo per maltrattamenti aggravati dalle lesioni psichiche gravissime riportate dalla bambina e rilevate da una perizia, derubricando così l'accusa di riduzione in schiavitù. Il Pg Fazio, che ha chiesto 10 anni e 2 mesi per la donna e 6 anni e 10 mesi per l'uomo, nella sua requisitoria aveva sostenuto la sussistenza della riduzione in schiavitù come aveva ritenuto nel suo ricorso in appello il pm Federico Panichi.

A ricorrere in appello erano stati anche i difensori degli imputati, Giovanni Roffo per l'uomo e Fabio di Sansebastiano per la donna. La parte civile per la bambina è rappresentata dall'avvocato Pierpaolo De Grazia. L'indagine nei confronti della coppia era partita da una segnalazione anonima a Telefono Azzurro che aveva fatto scattare una denuncia. La polizia aveva effettuato anche intercettazioni ambientali nella casa del levante ligure. Gli agenti si erano poi recati a prelevare la bimba a scuola dove si era presentata in pantofole e pigiama. I due imputati sono stati arrestati nel 2011. Al gip avevano detto che la figlia era indisciplinata e che la punivano quando si comportava male.