
Rispetto a prima, però, Borzani regala una motivazione più articolata: essere utili agli altri significa fare ciò di cui si è capaci, ciò che può riuscire anche fisicamente senza ripiegarsi esclusivamente su decisioni autoreferenziale e che riguardano esclusivamente se stessi.
Bene, il vero succo della rinuncia è questo ed è anche un bel messaggio ai troppi personaggi che dentro il Pd genovese ancora cercano di imporre la propria presenza. Nonostante siano complici del disastro attuale, sebbene abbiano comunque una già lunga carriera politica alle spalle, ad onta del fatto che dal successo di Marco Doria alle primarie in poi (non era un piddino eppure inflisse una rovinosa sconfitta all'allora sindaco Marta Vincenzi e all'odierna ministra Roberta Pinotti) il partito abbia inanellato una serie di sconfitte e sventure al limite dell'incredibile.
Che cosa dice in modo non troppo subliminale Borzani? Fare un passo indietro è una regola d'oro, in certi momenti, e questo non significa chiamarsi fuori dall'impegno, visto che egli stesso conferma la propria adesione al progetto e quindi il proprio sforzo per renderlo finalmente vincente. Solo, non c'è bisogno di avere una poltrona appiccicata alle proprie terga.
Qualcuno obietterà: facile, per uno che comunque sta comodamente seduto sullo scranno più alto del Ducale. Intanto non è una postazione così comoda, e in ogni caso occuparsi di una azienda pur importante della cultura non è la stessa cosa che guidare Tursi. Sotto qualsiasi punto di vista la si voglia vedere, la verità è che il tipo di rinuncia fatta da Borzani da una parte dice che lui poteva essere davvero l'uomo giusto per Tursi e dall'altra impone al Pd una più autentica autocritica e assunzione di responsabilità. Se un Borzani rifiuta di correre giudicandosi non all'altezza del ruolo, almeno in questa sua fase di vita politica e personale, non è che adesso i Dem possono propinarci un candidato purchessia. L'asticella ora sta dove l'ha posizionata Borzani. Ed è parecchio in alto.
IL COMMENTO
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