Il vero interrogativo del post-ballottaggi in Liguria è questo: il governatore Giovanni Toti deve essere contento o scontento di come sono andate le cose? Se dovessi dargli un consiglio sullo stato d'animo da tenere gli direi sicuramente di vedere il bicchiere molto più che mezzo pieno.
A Sarzana il centrodestra ha conquistato una vittoria storica, giocando sulle divisioni del centrosinistra ma anche dimostrando di saper mettere in campo una proposta capace di convincere gli elettori oltre ogni tentativo di un conservatorismo che ormai ha fatto il suo tempo. Questo successo si accompagna a quelli precedenti della Regione, di Savona, di Genova e di La Spezia, tutte realtà sottratte a un centrosinistra la cui caduta libera sembra inarrestabile.
Mentre il governatore ligure può alzare i calici per festeggiare il risultato di Sarzana, infatti, il versante opposto deve incassare altri pesanti rovesci nella confinante Toscana, a Pisa, Massa e Siena, a vantaggio proprio del centrodestra. E in Emilia Romagna la roccaforte Imola, mai posseduta da altri che non fosse il centrosinistra, è stata infine violata, per mano del Movimento 5 Stelle: insomma, per il Pd una catastrofe originata proprio dalle forze che vede con più avversione.
Negli infiniti esercizi del politichese, che la gente o non capisce o più semplicemente rifiuta come improponibili e autoreferenziali, ci sarà qualche anima candida del centrosinistra che se ne uscirà con affermazioni di tal fatta: tutto vero, ma a Imperia il cosiddetto "modello Toti" è stato battuto, come in precedenza avvenuto ad Alassio, a dimostrazione che comincia a mostrare delle difficoltà.
Ora, ognuno è padronissimo di vedere le cose come meglio ritiene, ma questo ragionamento, che pure sta circolando nel Pd e dintorni, già sarebbe stato difficilmente sostenibile se almeno fosse stata salvata Sarzana, figurarsi in presenza della sconfitta del sindaco uscente Alessio Cavarra. La grande differenza tra Imperia e Sarzana, infatti, è che a Levante le divisioni del centrosinistra hanno originato la sconfitta, mentre a Ponente le divisioni del centrodestra hanno provocato la vittoria dell'ex ministro Claudio Scajola, con il centrosinistra finito terzo e fuori dalla partita decisiva del ballottaggio.
Se si vuole vedere in Scajola un "nemico" di Toti, il governatore non può gioire del suo successo, ma se si sta alla semplice realtà dei fatti vanno dette almeno un paio di cose per cui Toti può serenamente congratularsi con il vincitore. Primo: pur battuto, il suo candidato Luca Lanteri nel ballottaggio ha rimontato e ottenuto un risultato che parzialmente sterilizza gli errori commessi (una partenza tardiva, un eccesso di presenza dei partiti). Secondo: Scajola stesso tiene la sua operazione in un ambito civico, fortemente chiusa dentro le mura della città e almeno per adesso senza alcun respiro di ordine regionale o addirittura nazionale.
Conoscendo l'ex ministro, potrebbe non essere impossibile che voglia rifare di Imperia il trampolino di un suo rilancio a livello generale. Ma è ancora troppo presto per dire se un progetto del genere possa decollare. E il tempo, casomai, gioca a favore di Toti. Non per una banale questione anagrafica, l'ex ministro ha 70 anni, bensì perché la partita politica nazionale si gioca adesso.
È bastata un'intervista alla Stampa, in cui Toti chiede che Forza Italia riparta basso, guardando al partito unico del centrodestra, per scatenare le feroci reazioni di Mara Carfagna, Maria Stella Gelmini e di altri esponenti soprattutto del cerchio magico di Arcore. È la plastica dimostrazione che la Liguria, oggi, nel centrodestra ha un solo potenziale leader di livello nazionale e costui è Giovanni Toti. Se fosse un signor nessuno, o quasi, non ci si curerebbe così tanto di ciò che afferma. Un po' come accadeva a Scajola. Lui è stato un potente uomo di partito e ministro della Repubblica, l'altro è un potente uomo di partito e governatore della Liguria. La declinazione dei tempi non è ininfluente.
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Sarzana e Imperia, in Liguria il centrodestra può esultare
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