Il 3 luglio del 1985, nella calda serata del primo, storico trofeo vinto dalla Sampdoria, la Coppa Italia, mi trovavo in Gradinata Sud con la sciarpa al collo e gli appunti di Economia Politica tra le mani. Il giorno dopo mi attendeva il primo esame all’Università e dovevo ripassare, anche perché al varco della Facoltà di Scienze Politiche mi aspettava il burbero e genoanissimo professor Ugo Marchese. Ma dovevo anche essere assolutamente presente a quell’appuntamento, che per i sampdoriani della mia generazione rappresentò l’enorme ed inatteso “risarcimento” per avere scelto negli anni settanta di tifare per questa maglia, quando farlo significava essere una minoranza, senza palmares e con un dignitoso ma circoscritto passato. Ecco perché nel momento in cui Alessandro Scanziani sollevò al cielo quel trofeo mormorai tra me e me: “Grazie Sampdoria, adesso non mi devi più nulla”.
Invece, il 19 maggio del 1991 mi ritrovai a festeggiare addirittura uno scudetto, che arrivò l’anno dopo avere alzato al cielo la Coppa delle Coppe. Eppure, nonostante la vetta, il paradiso a portata di mano ed una gioia immensa, il mio pensiero corse di nuovo al 1985, a quella Coppa Italia neanche mai lontanamente immaginata. Il primo amore. Ma il tricolore fu l’apoteosi della corresponsione di amorosi sensi con i colori blucerchiati, il matrimonio della maturità.
Stavo già lavorando e quel giorno ebbi l’incarico, dal responsabile dei servizi sportivi della Gazzetta del Lunedì, Giorgio Bregante, un grande giornalista di fede rossoblù, di seguire passo dopo passo Paolo Villaggio. E io mi ci incollai. Allorché, al terzo gol della Sampdoria contro il Lecce, lo ascoltai mormorare in tribuna d’onore “adesso anche un ateo, miscredente come me ci crede”, compresi sino in fondo quale straordinaria impresi stessi descrivendo mentre la vivevo da indiretto protagonista. Il rumore ed i colori erano quasi soffocati da quelle poche ma incisive parole: “Ci credo”. Così ci credetti anche io e confezionai per il giorno dopo un lungo e bellissimo articolo con Paolo Villaggio mattatore che ebbe l’onore dell’apertura di pagina.
Lo scudetto della Sampdoria per me significò che ero diventato adulto, da studente innamorato dei colori blucerchiati mi stavo trasformando in un professionista che avrebbe raccontato questa storia anche per i 30 anni successivi, grazie al salto in TV con Primocanale, dove approdai come responsabile dei servizi sportivi. Senza più toccare quei vertici, ma constatando anno dopo anno quanto importante fosse stata quella conquista e quello che ne era derivato: un’identità, che niente e nessuno potrà, nonostante tutto, mai più stravolgere dopo il magnifico lavoro compiuto dall’artefice dell’impresa, Paolo Mantovani.
Grazie Sampdoria, non solo non mi “devi” più nulla come tifoso già dal 1985, ma mi hai anche offerto un’opportunità di vita ed oggi, con le celebrazioni per il trentennale del tuo scudetto, l’ultimo di una squadra romanticamente non metropolitana ed elitaria, mi ricordi, attraverso le facce un po’ più invecchiate di tutti Loro e di tutti noi, che il calcio è una straordinaria metafora della vita, dove tutto è possibile.
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Uno scudetto nel cuore, 30 anni fa la storica impresa della Sampdoria
L'anniversario: "Grazie Sampdoria"
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