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Antonietta invece la incontriamo nella terrazza di casa sua, palazzo di via Biagini che si affaccia sul ponte. Ha vissuto il crollo sulla pelle, vicinissimo a lei. La nipotina di tre anni, Amelia, che scorazza accanto e lei e si spaventa per li suono delle campane in lontananza, in un certo senso la ha salvata, quel 14 agosto del 2018: "Ero andata con mia figlia, che era incita, a fare una visita medica e lì avevamo incontrato una signora, anche lei incinta, che non riusciva a tornare a casa da sola perchè non stava tanto bene. La abbiamo accomapgnata noi, deviando la strada dal percorso che volevamo fare e che ci avrebbe portate dritte dritte alla morte, perchè saremmo passate sotto il ponte in quei minuti maledetti. Forse mia nipote e quel gesto di affetto per la signora ci hanno risparmiato. Che cosa mi aspetto dal processo? Che chi ha provocato questa tragedia annunciata se ne renda almeno conto".
Stesse aspettative dalle signore sedute nella piazzetta centrale del quartiere che pare Montmartre, via Piombino, e da Giovanni Casanova, residente della zona da anni, come Enrico D'Agostino, Comitato liberi cittadini di Certosa: "Siamo usciti da quella tragedia con le reni rotte. Ora voglio sapere se il Comune investirà i soldi del risarcimento ottenuto nel quartiere, che ha bisogno di tanto, e che ora ha due altre tegole che pendono: il binario merci che attraverserà il centro abitato e il prolungamento della metropolitana di soli 500 metri". Lì si apre un nuovo capitolo, ma questa è un'altra storia.
IL COMMENTO
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