Proseguono i nostri dialoghi con il professor Rosso per capire meglio l’elemento acqua in Liguria. Dopo la prima puntata (clicca qui) oggi la seconda dedicata alla prevenzione.
La Protezione Civile italiana ha fatto progressi notevoli negli ultimi 32 anni. Abbiamo perfino insegnato molto all’Europa. La Liguria è capace di affrontare al meglio dello stato dell’arte la fase critica di un disastro. Ma non basta, anzi la capacità di gestire l’emergenza diventa un alibi per non prevedere né prevenire, come invocava l’accorato commento del giornalista RAI Cesare Viazzi della RAI di fronte alle rovine dell’alluvione genovese del 1970.
Dall’unità ad oggi il Paese ha investito cumulativamente una enorme quantità di denaro in opere di regimazione, spesso utili a diminuire la pericolosità ma talora inutili se non dannose. Ma non abbiamo ridotto il rischio in modo significativo, perché Il rischio è la composizione di tre fattori: pericolosità, esposizione, vulnerabilità. E questi fattori pesano sul rischio in misura pressoché equivalente.
Se ogni comune è a rischio, ogni frazione e ogni quartiere sono considerati un po’ a rischio, tutti sono a rischio e nessuno lo diventa, in realtà, per le istituzioni. E non vale il falso alibi del cambiamento climatico, moderna interpretazione del destino cinico e baro. Una vecchia storia che fu tirata in ballo per la prima volta nel 1966 dopo l’alluvione di Firenze.
Che cosa possiamo fare?
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Superare la rigida zonizzazione del rischio basata sulla sola pericolosità, a sua volta ridotta al concetto di probabilità degli eventi rari: concetto assai utile ma anche fonte di enormi incertezze. Bisogna evidenziare i veri nodi critici dove la calamità idrogeologica può mietere davvero vittime e produrre danni irreversibili e dove, nello stesso tempo, la riduzione della vulnerabilità non è ragionevolmente realizzabile.
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Iniziare la delocalizzazione nei contesti a rischio molto elevato per la concomitante impossibilità pratica e/o economica di ridurre la pericolosità e diminuire in modo significativo la vulnerabilità realizzando opere d’ingegneria civile davvero efficaci ed economicamente efficienti. Le esperienze maturate alla foce del Torrente Quiliano a Savona e del Rio Chiaravagna in via Giotto a Genova Sestri Ponente non devono rimanere episodi da manualistica teorica.
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Promuovere la difesa locale con interventi a piccola scala (quartiere, isolato, edificio) noti come flood proofing, in grado di diminuire il danno tra il 50 e il 75 percento.
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Ricostruire organi tecnici istituzionali in grado di fare, non solo controllare burocraticamente. Si tratta di iniziare un lungo percorso, ma vale la pena di iniziare.
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Agevolare i produttori non soltanto industriali (obbligati dall’Articolo 101 della Legge di Bilancio n.213/2024) ma anche agricoli (non contemplati dall’obbligo) nel percorso di copertura assicurativa dei rischi naturali che, nella Liguria, sono soprattutto legati al ciclo delle acque. I recenti eventi di Albenga fanno riflettere.
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Inserire l’equità nella programmazione degli interventi strutturali di riduzione della pericolosità, evitando di agire soltanto dove premono particolari interessi economici, commerciali o fondiari, ma pianificando gli interventi con il faro del bene comune.
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Azzerare in cinque anni il consumo di suolo, favorendo la bonifica delle aree industriali e commerciali dismesse e la loro riqualificazione, che va condotta secondo una ottica territoriale, non solamente urbana.
Renzo Rosso*
Professore Ordinario di Idrologia e Costruzioni Idrauliche al Politecnico di Milano
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