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Attualità

Il racconto a Primocanale durante la trasmissione 'Tiziana&Cirone'
8 minuti e 28 secondi di lettura
di Tiziana Oberti

GENOVA - "La ferocia della guerra anche se fa male va raccontata, l'orrore non va nascosto ma va detto". Così Stefania Battistini, inviata di guerra in Ucraina del Tg1 ha sintetizzato durante la puntata di 'Tiziana&Cirone' dedicata all'Ucraina l'essenza del suo lavoro. Convinta che Putin non cederà sulla Crimea così come gli ucraini, non vede un accordo vicino.

Il suo volto entra ogni sera nelle case di milioni di italiani e in questi 10 mesi sono molti i premi che ha ricevuto come il Flaiano, il Maria Grazia Cutuli e anche anche un'onorificenza direttamente dal presidente ucraino Zelensky per "per il significativo contributo personale al rafforzamento della cooperazione interstatale, al sostegno della sovranità dello Stato e dell'integrità territoriale dell'Ucraina, alla divulgazione dello Stato ucraino nel mondo".


Professionalità, cura, rispetto e tanto cuore, l'atrocità della guerra la vive sulla sua pelle da quasi un anno. In questi giorni è in Italia prima di ripartire di nuovo. Giorni in cui si cerca di elaborare quello che si è visto e vissuto, giorni in cui andare al supermercato o vedere le luminarie è difficile.

A Primocanale racconta che in Ucraina ha lasciato un po' di ingenuità, imparato la lucidità e la forza da chi li è restato e lotta ogni giorno per la libertà, non è più la stessa dice e confida che le immagini che fanno più male non sono i cadaveri ma la sorpresa nell'essere sopravvissuti.

 

Tu in Ucraina ci sei arrivata prima di quel 24 febbraio, come si racconta la guerra?

Noi siamo partiti il 10 febbraio perché la mia direttrice, Monica Maggioni, ha avuto una grande intelligenza a leggere quegli allarmi che gli Stati Uniti continuavano a ripetere da un mese, per cui siamo arrivati a Kiev ed era una società assolutamente tranquilla se vuoi con una calma strana, sospesa, siamo andati subito in Donbass, dove in quei giorni, soprattutto dal 20 al 23, c'era un'escalation abbastanza netta sui tiri d'artiglieria.
Quindi noi la guerra l'abbiamo vissuta da quel momento, qualche giorno prima dell'invasione e poi con l'invasione, siamo arrivati però non ti dico completamente impreparati, ma certo non ci aspettavamo una invasione di quel tipo e non ci aspettavamo un'invasione che puntasse sulla capitale perché Putin quella sera il 24, disse vogliamo liberare il Donbass in realtà attaccò Kiev, lo fece con i carri armati, lo fece con l'aviazione, lo fece con i paracadutisti e non eravamo effettivamente pronti in quel momento però devo dire che il popolo ucraino ci ha insegnato da subito ad essere lucidi in quei momenti e quindi abbiamo continuato cercando un po' di seguire quello che ci raccontava la gente per strada, un po' come abbiamo sempre fatto in Italia, ascoltando da una parte le voci istituzionali, ma poi dall'altra parte facendoci raccontare dalla gente cosa stava succedendo.

Come si fa a raccontare l'orrore in un minuto, un minuto e mezzo, rimanendo lucidi, penso a Bucha per esempio, rimanendo professionali, senza farsi prendere da quell'orrore, che si vede e si vive in prima persona?

Io penso che sia proprio un esercizio della professione, purtroppo tu sai che se vuoi raccontare dei pezzi di verità è quasi un esercizio militare devi un po' lasciare da parte le tue emozioni ed elaborarlo in un altro momento, cercare di raccogliere i fatti, le prove, le testimonianze, capire se sono concordanti. Io mi ricordo il giorno in cui abbiamo visto la prima fossa comune che era alle porte di Bucha ed era una fossa comune vera, nel senso che c'erano quattro corpi uno era di una sindaca del villaggio di Motyzhyn ed era stata prelevata dai russi e aveva dei segni di tortura sul volto, quindi nascondere quel cadavere aveva sicuramente una certa intenzionalità questo ci hanno raccontato. Poi ci saranno i processi, ma quando siamo arrivati lì abbiamo visto quei corpi e soprattutto il corpo di una donna, quei lividi, pensare che era stata prelevata che le avessero chiesto delle informazioni sulle postazioni ucraine, lei avesse resistito e l'avessero uccisa in quel modo con il marito accanto, con le mani legate, il figlio, in bocca un fazzoletto rosso insomma mancava un'ora alla diretta delle 13.30, me lo sono chiesto come faccio a raccontarlo? Ma non solo a me, ma agli altri che sono a tavola a pranzo e magari ci sono dei bambini, come facciamo a mostrarlo questo orrore e quindi abbiamo usati rami per coprire un po' le immagini più terribili, e poi abbiamo cercato un po' di oscurare i volti cercando di raccontare quella ferocia perché io penso ancora oggi che chi è, che dura, che fa male, ma vada detto tutto.


Quando senti ti sarà capitato di sentire i negazionisti, coloro che non ci credono, coloro che pensano che sia tutta una farsa, ma non ti viene da urlare, da gridare la verità, quella che tu ogni giorno ci hai raccontato?


In questo caso diciamo che è difficile rimanere razionali. Sentire fatti completamente inventati, manipolazioni e soprattutto questa incapacità di voler insomma ragionare su quello che che si vede. Io invito sempre queste persone, come lo dicevo per il covid a Bergamo, a venire a farsi un giro perché è una responsabilità quella che abbiamo delle parole per cui se vogliamo esprimere delle opinioni penso sempre che sia così importante, in Ucraina ci si può andare anche soltanto a Kiev, a Leopoli e si può andare comunque in luoghi colpiti, ma non sulla linea del fronte, io li invito sempre a venire a farsi un giro, a capire come vivono queste persone che sono state aggredite in base improvvisamente il 24 febbraio.

Quanto lavoro c'è dietro per preparare quel minuto?

Noi andiamo in onda alle otto e in realtà dalle sette di mattina fino alle venti di sera, è un lavoro ininterrotto prima di studio, come dicevi di quello che sta succedendo sul campo, un po' leggendo le analisi di intelligence di altri Paesi per capire qual è la linea del fronte da seguire, poi ci sono ovviamente le varie dirette del telegiornale, poi si esce verso le nove e si inizia a girare per il territorio per cercare di raccogliere delle testimonianze questo per ore e poi verso le quattro noi iniziamo a rivedere il materiale, a scremare abbiamo magari due ore di girato che si condensano in quei quel minuto e mezzo, quei due minuti che dicevi, ma dietro c'è un lavoro ininterrotto, sempre però in guerra, molto di più e più intenso.


Stefania, tu hai ricevuto moltissimi premi in questo anno, il Flaiano, il Maria Grazia Cutuli e hai avuto anche una onorificenza proprio data dal presidente Zalesky per il tuo lavoro. Che cosa ti ha colpito di più, in questi 320 giorni? 


Alla fine le cose che ti rimangono più dentro, anche quelle che ti fanno più male, al momento non sono tanti cadaveri, ma è vedere la felicità della gente che è sopravvissuta. Io ricordo quando è stata liberata una parte di Kharkiv verso maggio, abbiamo affittato un pulmino per consentire a una famiglia di ritornare a casa e c'era la mamma con questa bambina di dieci anni e il padre e sarebbero tornati dalla nonna, io quell'abbraccio tra la nonna che ha urlato a questa bambina 'siete vivi, siamo vivi', questa sorpresa nell'essere sopravvissuti a questa gioia immensa, nell'abbracciare, riabbracciare il suo cane ecco, questa è la cosa che mi ha più più ferito, ancora più di vedere le fosse comuni, l'ingiustizia di queste persone innocenti e quindi quei volti della resistenza un po' no Ucraina che ci hanno colpito, quelli, quelli che mi porto dentro sempre, sono un insegnamento.
E poi sui premi che sono sempre imbarazzanti per un giornalista, però, la cosa bella è aver capito che quel pezzo di umanità che tu hai raccolto di cui ti sei fatto testimone insomma si è fatto portatore di quel pezzo di verità sia arrivato agli altri,che abbiano avuto un effetto, abbia avuto un senso anche per chi non era lì sul terreno. Questo è professionalmente una ricchezza.

Tu che ce la racconti questa guerra, che ci sei sul territorio cosa ti aspetti?

Ma guarda, io considero sempre come dicevi questi ritiri russi che sono dei veri e propri fallimenti: è accaduto a fine marzo da Kiev tornò dopo 40 giorni di assedio se ne sono andati e spesso abbandonando le armi, abbandonando i carri armati; è accaduto a settembre, quando c'è stata la liberazione di Kharkiv e il ritiro non è stato affatto strategico, ma anche lì hanno abbandonato tutto; è accaduto a Kherson, la prima e unica grande città conquistata dai russi. È vero che si sono ritirati dall'altra sponda del fiume, continuano a tirare con l'artiglieria, ad ammazzare delle persone, ma comunque è stato un ritiro. Putin continua a dire voglio concentrarmi sul Donbass e comunque difendere la Crimea. Ecco, io credo che Putin non cederà sulla Crimea e credo che anche gli ucraini non vogliano cedere e per cui, insomma, quando quando arriverà la primavera marzo, aprile, capiremo dove vuole andare invece l'esercito ucraino. Io ho la sensazione che che voglia liberare la parte sud, che voglia liberare la parte di Zaporizzja della centrale nucleare e andare verso la Crimea. Non vedo un accordo molto vicino, comunque non prima dell'estate. E comunque quelle aree del Donbass e al confine con la Russia saranno sempre delle aree molto calde.


Stefania, L'ultima domanda è privata e personale: cosa comporta raccontare la guerra quando si torna a casa prima di ripartire di nuovo?

Scriveva Francesco Battistini sul Corriere che è più difficile tornare, quando torni e devi andare al supermercato è veramente dura. Quando torni e vedi le luminarie di Natale. Qui c'è questo questo distacco rispetto a quello che hai vissuto, che è faticoso, ma è anche quello un percorso di crescita personale, certo, è un anno di totale dedizione, questo e di concentrazione su quello che accade in Ucraina ed è anche però una grandissima ricchezza umana. Io ho imparato tantissimo in questi mesi e spesso li guardo questi civili ucraini che hanno deciso di restare, di resistere e io non sono sicuramente più la persona di prima, ho lasciato dei pezzi di ingenuità dietro di me, ma sicuramente sono una persona più ricca e sempre così in ascolto per per poter in qualche modo capire da loro come si può resistere in quelle condizioni. Sono davvero un insegnamento.

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