L’ipotesi è molto ragionevole. L’avanza lo storico Sergio Luzzatto nel suo bellissimo libro su Guido Rossa, l’operaio comunista che le Brigate rosse uccisero in via Fracchia, quarantatré anni fa, il 24 gennaio del 1979. Un’azione che si svolge in due parti, quella buia mattina (“ora da operai non da borghesi”) alle 6.35 in Oregina. Rossa è appena entrato nella sua 850 parcheggiata lungo la strada stretta. Da un pullmino posteggiato a pochi metri esce Vincenzo Guagliardo, br, ex operaio come Guido. Si avvicina alla 850 e spara alle gambe del compagno operaio ferendolo. Questa era la decisione della direzione strategica delle Br. Gambizzare Rossa, non ucciderlo. Invece.
Invece il capo colonna, Riccardo Dura, interviene in pochi secondi e spara al cuore e al fegato di Guido. Uccidendolo sul colpo.
Sergio Luzzatto, genovese, oggi docente nell’Università del Connecticut, scrive che i piani cambiarono per una “ottusa reazione opposta dalla spia” riprendendo le frasi di un comunicato brigatista di quelli che allora definivano concordemente “farneticanti”.
Racconta Luzzatto in un’intervista a Primocanale (martedì sera a Palazzo Ducale il professore presenterà il libro “Giù i mezzo agli uomini. Vita e morte di Guido Rossa” edito da Einaudi nel corso di un incontro organizzato dal Festival della Comunicazione di Camogli) che potrebbe darsi che “l’apparente assurdità di questa formula non nasconda altro che l’imbarazzo politico delle Br a fronte della irreparabile fuga in avanti compiuta da Dura. Ma lo storico deve considerare anche un’altra possibilità: che la reazione di Rossa davanti a Guagliardo che gli spara alle gambe sia stata dal punto di vista delle Br talmente sconsiderata, o irritante o temeraria, da scatenare pochi istanti più tardi, in seconda battuta, l’ira funesta di Dura”.
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Cioè Guido, uomo coraggioso, scalatore sulle cime del Monte Bianco e sugli ottomila himalayani, paracadutista, forse troppo spavaldo, comunista sincero, “spia berlingueriana” (parola dei brigatisti…) li abbia mandati al diavolo, insultati, offesi con dure parole. Chissà, dunque, che cosà ha urlato l’operaio ai suoi feritori da fare saltare i nervi a Riccardo Dura tanto da spingerlo a disobbedire agli ordini dei supremi capi e a uccidere il compagno comunista.
Scrive Luzzatto le parole di un amico di scalate di Guido. “Non mi sono mai tolto dalla testa che è morto perché l’ha voluto. Perché quel Dura che torna indietro, dopo gli spari di Guagliardo….Secondo me, Guido gli ha gridato qualcosa…..Secondo me Dura è tornato indietro perché ha sentito qualcosa che lo ha offeso…Io – conclude l’amico – quando mi han detto…me lo son visto quel cinema lì”.
Il “cinema” di Guido Rossa, duro e puro, generoso e spavaldo.
Così Luzzatto sintetizza la tragica vicenda tra operai. “ Un operaio comunista fa arrestare un operaio brigatista, un operaio brigatista spara a un operaio comunista, un operaio brigatista si uccide in carcere, un secondo operaio brigatista va in galera per avere sparato a un operaio comunista.” Ricordiamo che Francesco Berardi l’operaio che Guido Rossa denunciò perché aveva nascosto in un distributore di bevande nello stabilimento un ciclostilato brigatista, processato e condannato si impiccò in cella nove mesi dopo l’omicidio di Rossa.
“Con l’assassino di Rossa – afferma Luzzatto – morivano anche le Brigate Rosse.
Una parte del libro è dedicata all’ultima estate di Rossa, l’agosto del 1978. I bagni con la figlia Sabina, la memorabile Festa nazionale dell’Unità a Genova con la visita di Enrico Berlinguer e Guido col grembiule che serve pasta al pesto ai tavoli. Ma anche una visita all’amico scalatore Piero Villaggio, fratello di Paolo, al quale confessa: “Mi faranno fuori”. E a un altro amico di montagne sussurrerà in piemontese: “’Tsas ch’a veulo feme fòra?”. “Sai che vogliono farmi fuori?”
E la frase che Luciano Lama segretario generale della Cgil pronuncia con la voce rotta dalla commozione davanti a duecentocinquantamila persone ai funerali in piazza De Ferrari, frase di forte autocritica (Ma Rossa fu davvero lasciato solo?) dicono molto e lasciano altrettante riflessioni posteriori. Dice quel giorno Lama: “Riconosciamo sinceramente che se il gesto di coraggio civile compiuto dal compagno Rossa non fosse rimasto troppo isolato…se noi tutti fossimo stati un solo grande testimone schierato contro il nemico della democrazia, forse la vita di questo nostro compagno non sarebbe stata spezzata”.