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Attualità

A Primocanale parla Danilo Coppe, che organizzò la demolizione quattro anni fa
2 minuti e 48 secondi di lettura
di Tiziana Oberti

GENOVA - "Non c'è spazio per le emozioni". Ricorda così le 9.37 di venerdì 28 giugno 2019 l'esplosivista Danilo Coppe, quando vennero demolite le pile strallate 10 e 11 della porzione est del ponte Morandi a poco meno di un anno dalla tragedia del crollo che spezzò la vita di 43 persone.

"Proprio in questi minuti quel giorno cercavo di risolvere una rogna - racconta ai microfoni di Primocanale "mister dinamite" -, cioè far stare tre minuti in 5 minuti, poi in 11 minuti e poi in 20 minuti, perché avevamo previsto lo sparo alle nove, ma a quest'ora mi dissero che c'era un inquilina da far uscire e quindi ho dovuto riprogrammare questa piramide dei tempi e quei minuti di cui vi parlavo era che l'autonomia delle dodici lance che mangiavano il terreno sotto il ponte".

In vista della demolizione la struttura commissariale con in testa Marco Bucci aveva messo a punto un piano speciale che prevedeva l'evacuazione temporanea di quasi 3200 persone nel raggio di 300 metri dalle pile stessequasi 800 uomini delle forze dell'ordine impegnati, centinaia di volontari di protezione civile, viabilità bloccata e un sistema ad hoc di accoglienza. "Sicuramente era molto difficile il contesto fortemente urbanizzato - continua -. Le problematiche ci sono nel demolire un'opera mastodontica dove c'erano pilastri che avevano sei metri per sei metri di spessore di cemento armato e con case intorno molto vicine. E poi c'era questa unicità del diktat di non fare polvere e così abbiamo creato questi, chiamati poi in seguito, giochi d'acqua".

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"Parliamo proprio delle piscine oblunghe ricavate dai New Jersey del ponte e messe una di fianco all'altro con un telo di mezzo. E questo ha permesso di creare queste piscine che hanno mitigato la polvere. Ne avevamo messe sopra il ponte ai piedi, sia lato monte che a lato valle, in modo tale che poi, sincronizzando molto bene con quei famosi detonatori elettronici che arrivavano dalla Spagna, la tempistica abbiamo sollevato l'acqua mentre scendeva l'acqua, abbiamo fatto scendere il ponte e mentre scendeva quel ponte, abbiamo fatto salire i muri ai due lati in modo tale da creare proprio un tunnel di acqua".

"Come come sempre succede in queste operazioni, non puoi permetterti emozioni. E le circostanze locali avevano anche fatto sì che nemmeno subito dopo l'abbattimento abbia potuto godere, diciamo appieno, del lavoro ben riuscito, perché avevo avuto l'incarico di esplorare immediatamente tutte le macerie. Quindi c'era un chilometro di macerie da percorrere per stabilire che non ci fossero cariche inesplose".

E poi c'era questa problematica legata al viadotto della A7 e della sua elicoidale che erano strutture molto, molto vicine proprio al punto di taglio degli stralli che "comportavano l'utilizzo di cariche speciali e che queste generano una grande onda di sovrapressione, quella che voi chiamate spostamento d'aria. Per cui la mia preoccupazione era proprio di non fare danni a queste due infrastrutture".

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Quattro anni dopo Coppe definisce Genova una macchina ben oliata: "È un orgoglio, ovviamente, ma anche il pensiero della grande organizzazione e coralità di intenti che c'è stata a Genova, che aveva creato questo modello di efficienza che si sperava che poi venisse applicata in tutti i lavori pubblici nazionali... ma ho l'impressione che ci siamo già scordati".

 

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