GENOVA-Quando scendi nell'imponente camerone d'ingresso dello scolmatore del Fereggiano il grosso buco nero in alto fa paura: da lì in caso di piogge torrenziali l'acqua del torrente arriverà a cascata e, invece di allagare le case di Quezzi, invece di seminare morte finirà nel mare di corso Italia.
Lo stesso capolinea dello grande scolmatore del Bisagno, molto più capiente ma appena iniziato.
Lo scolmatore del Fereggiano capta l'acqua quando il torrente in piena supera un gradino di cemento, la porta del canale.
A guidarci nel canale sono due tecnici del Comune di Genova, l'architetto Roberto Valcalda e l'ingegnere Paolo Cerruti, la voci dell'assessore ai Lavori Pubblici Pietro Piciocchi e del sindaco Marco Bucci, amministratori che hanno avviato la costruzione a Molassana dello scolmatore del Bisagno, il più grande e determinante per la messa in sicurezza della città.
Il Fereggiano invece era stato iniziato negli anni '90 per poi essere bloccato in seguito di un'inchiesta della magistratura, la tangentopoli genovese, stoppato sino al 2014 e poi concluso nel 2019 grazie alla ripresa dei lavori voluta dal sindaco di allora Marco Doria, mentre i governi che hanno creduto più di altri nell'opera, costata 45 milioni di euro, sono stati quelli dei premier Mario Monti e Matteo Renzi con il dipartimento Italia Sicura.
Lo scolmatore del Fereggiano è in funzione dal 2019: tardi, troppo tardi perchè se ci fosse stato nel 2011 oggi sei donne, bambine e ragazze, mamme, sarebbero ancora vive. Ed è questo il primo pensiero che viene in mente immergendosi nel silenzio spettrale dello scolmatore.
Il viaggio nella strada sotterranea dell'acqua lunga quasi quattro chilometri a trenta metri sotto terra parte dall'anonimo cancello che chiude la porta dello scolmatore, a Quezzi, fra via Pinetti e via Ginestrato.
Attorno solo palazzoni spacciati per case popolari, cemento, troppo cemento che quasi toglie la luce, un atto di accusa contro chi negli anni ha amministrato la città. Perchè Quezzi, per certi versi, è peggio di Begato.
Aldilà del cancello d'ingresso una scala metallica a chiocciola che dopo tante curve e centinaia di gradini che fanno girare la testa ti porta sotto, negli inferi, nella galleria dell'acqua: poi ancora due scalette ed eccoci dentro base del cilindro. Lo scolmatore.
Dentro questo tubo grazie alle siccità degli ultimi mesi scorre oggi solo un rigagnolo che bagna appena un leggero strato di pietrisco: incrociamo anche tre carcasse di animali, due germani reali, un topo. Sono le uniche tracce di vita in questa immobile cattedrale di calcestruzzo sotto Quezzi, sotto San Fruttuoso, sotto Albaro. Non ci sono neppure alghe perchè qui non c'è luce, ora accesa solo per la nostra visita.
Si cammina per chilometri fra acqua e pietre sperando di scorgere e arrivare alla luce, sperando di sbucare al mare: ma questo non sarà possibile, perchè alla fine dello scolmatore a piedi non si può arrivare, lì il mare allaga il canale per cento metri. Ma nessuna paura: in caso di piena grazie all'inclinazione e la forza a caduta del torrente, il Fereggiano avrebbe la meglio e si allargherebbe in mare. Salvando Quezzi e salvando Genova. E ancora una volta il pensiero torna al 2011, alle bambine, alle ragazze e alle sei donne morte perchè lo scolmatore non c'era ancora.
IL COMMENTO
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