GENOVA - Tubino nero, collana di perle, smalto alle unghie, un sandalo gioiello panna con tacco 9 cm abbinato alla borsa. Stefano Ferri, 58 anni, giornalista, scrittore, consulente in comunicazione è eterosessuale, sposato da oltre 20 anni, ha una figlia 15enne e si veste con abiti femminili. Tecnicamente è un crossdresser. Per raccontare la sua storia ha scritto un libro 'Crossdresser. Stefano e Stefania, le due parti di me' sfruttando il tempo libero del lockdown. Ferri è stato ospite di 'Newsroom 28' in occasione della presentazione del suo libro a Genova.
Chi è un crossdresser?
"Dicesi crossdresser colui o colei che indossa abiti convenzionalmente riservati al sesso opposto. Ed è il motivo per cui non si parla di crossdressing femminile. Perché? Perché l'abbigliamento femminile non ha più nulla di convenzionalmente proibito. La cosa curiosa è che foste voi donne durante l'Ottocento le prime crossdresser molto prima di noi e a voi tra l'altro andò parecchio peggio di come sia andata a me, perché numerose foste incarcerate perchè vedere donne in pantaloni era veramente considerato un'indecenza. Poi, durante il secolo breve, il XX secolo, che a causa delle sue tragedie ha agevolato i cambiamenti di mentalità, ecco che si è cominciato a parlare e ritenere normale che una donna indossasse un pantalone o una giacca esattamente come tu sei oggi. Io sono costretto a ricorrere al termine crossdressing, sia nella vita privata, quando mi presenta le persone, sia anche in questo libro come titolo perché io sono uno dei pochissimi che fa questo, cioè che indossa abiti da donna convenzionalmente vietati agli uomini. Un giorno in cui tutti fossero come me, nessuno userebbe più il termine crossdressing, così come nessuno oggi userebbe mai un termine di questo tipo per definire oggi questo concetto".
Il suo è un percorso molto lungo, quando sei riuscito a mettere insieme e far incontrare Stefano e Stefania?
"È una cosa veramente lunga, io poi nel libro l'ha raccontata con dovizia di dettaglio, chiaramente qui magari sintetizzo: io ho avvertito la prima pulsione verso questi capi d'abbigliamento quando avevo nove anni, nel 1975, un mondo completamente diverso da quello di oggi perché pensa che per una donna vestirsi da uomo fino all'anno prima era reato, se si camminava per strada si veniva prelevati da una pattuglia e portati in caserma. Io ero bambino non è che potessi sapere questo, non avevo contezza di questo. Però percepivo che, come si dice in gergo, non c'era trippa per gatti. Dovevo tenermi la cosa. E allora ebbi la tragica idea di rimuovere tutto, cioè di far finta che questa attrazione non ci fosse. Così, condannandomi a vent'anni di infelicità, fino a quando, a partire dal 1995-96, che avevo 29-30 anni, cominciai a lasciarmi andare. Io ero veramente in una situazione pessima perché non avevo lavoro, non avevo famiglia e perché non ero me stesso. Lontano da noi stessi non siamo niente e vedevo i miei coetanei sposarsi, avere figli, un lavoro e nonostante una carriera scolastica e accademica brillante che mi lasciavo alle spalle, ero fermo veramente al palo, ma non immaginavo che così facendo stessi risolvendo il problema. Io semplicemente pensavo di fare una cosa che potesse piacere, ma non è che l'ho fatta subito, per la transizione totale dall'abbigliamento totalmente maschile in senso convenzionale che avevo prima a questo (si tocca il vestito e la collana ndr) io ci ho messo oltre 14 anni, non è che uno passa dalla cravatta regimental blu a questo nel giro di un giorno o due anni, io ci ho messo ripeto 14 anni.
All'inizio avevo iniziato a contaminare il mio guardaroba e indossavo delle giacche simili alla tua e per questo quando l'ho vista mi ha ricordato una delle giacche che avevo in quei sette anni iniziali e che sono state un trampolino di lancio, perché uno scardina a poco a poco i propri timori, i propri pregiudizi. E questa fu una delle tappe. E poi il turning point fu quando vidi un cosiddetto kilt in un negozio del Quadrilatero di Milano, cioè quadrilatero della moda, che kilt non era era una gonna nera plissettata. Però la chiamavano kilt in vetrina, probabilmente per aggirare gli imbarazzi dei clienti potenziali. Magari non compravano una cosa chiamata gonna, ma avrebbero comprato una cosa chiamata kilt. Il marketing si fa anche con queste inezie ideologiche.
Tu sei sposato e sei un papà, come il tuo essere crossdresser si inserisce nella quotidianità della tua famiglia?
Esattamente come anche tu. Magari sei sposata, e una mamma, perché non è che il vestito faccia la tendenza. E' stato un percorso a tappe anche qui. Perché mia moglie, che avevo sposato durante la transizione, ma comunque in abiti maschili in termini di marketing ha comprato un prodotto, se ne è ritrovato un altro. Anche lei è arrivata a scardinare i suoi pregiudizi, lei ci ha messo dieci anni per accettare queste cose. Ma ti dirò una cosa che ti stupirà: 10 anni sono pochi in confronto ai 27 che ci ho messo io, perché prima ti ho detto che avevo nove anni quando cominciai, ne avevo 36 anni quando ho iniziato a vestirmi in abiti femminili quindi 36 meno nove fa 27,io per superare i pregiudizi su di me io ci ho messo 27 anni. Pur di non perdermi ha fatto una cosa e io la ringrazio, la ringrazierò per sempre e dichiaro ogni volta che ho l'occasione e ti ringrazio di darmi l'opportunità di dirlo in pubblico, di considerare questi dieci anni che sono stati difficili la sua più grande dichiarazione d'amore".
E invece Stefano come papà?
"Mia figlia è nata che io ero già così e oltretutto ha un primato del mondo, secondo me Emma credo che sia l'unico essere umano che appena uscito dall'utero materno, ancora sporca di placenta sul tavolo della sala parto, aperti gli occhi sul mondo, la prima cosa che ha visto è stato un uomo vestito da donna. Penso che non ce ne siano altri. E' una battuta, ma fino a un certo punto. Perché sancisce una normalità, un criterio di normalità che noi le abbiamo dato in casa. Lei è cresciuta vedendomi così. Io non me l'aspettavo. Si è inserita in un contesto generazionale fluido perché lei a 15 anni, oggi fa parte della cosiddetta generazione fluida che fluida non è in realtà, perché hanno anche loro delle preferenze eterosessuali o omosessuali. È semplicemente priva di pregiudizi, perché cresciuta in una società aperta grazie a Internet, grazie alla tecnologia. Tu sei giovane, ma quando avevo tre anni, per dire noi bambini dell'epoca avevamo una ora di cartoni animati in bianco e nero della Rai e nient'altro e quindi tutto il resto erano i nostri genitori che dicevano cose che poi non erano legge e mettere dei pregiudizi in bambini così era la cosa più facile del mondo. Quando ci fu nel 2016 la discussione sulla legge Cirinnà e mia figlia faceva la prima elementare ricordo di averla sentita parlare con due suoi compagni di classe, quindi anche loro di sei sette anni, dire per quale motivo un uomo non dovrebbe sposarsi con una persona che ama solo perché è del suo sesso? È il riflesso di una società molto diversa. Noi adulti a sei, sette anni parlavamo se parlavamo del gatto Temistocle o di Braccobaldo. Niente di più".
Una volta che tu sei uscito di casa vestito con abiti femminili, hai risolto i tuoi problemi o i giudizi degli altri te ne ha creati degli altri?
"Ci ho messo due anni a uscire di casa, dal 2002 al 2004 l'ho fatto pochissimo, perché non avevo il coraggio, anche l'idea soltanto di attraversare la strada mi dava i brividi. Io sono andato in psicoterapia perché dovevo capire perché. Quali sono le cose che si sono affastellate nel mio cervello dopo questo tipo di personalità? Capire perché è fondamentale, ma non solo per me, per tutti, perché bisogna eliminare l'ignoto in quanto l'ignoto fa paura e la paura fa un brutto scherzo che è quello di farci diventare aggressivi: quando un animale ti morde? quando ha paura di te. Noi siamo animali e apparteniamo al regno animale. Valeva lo stesso anche per me, non letteralmente, ma metaforicamente, che non ero la persona serena che sono oggi. Avevo lo sguardo di chi ha il complesso del fortino assediato e questa cosa era un cortocircuito con le persone per cui finiva, che non mi capivano, non capivo. Io ricordo sempre la massima di Shakespeare, che vale per chiunque e che dice 'rinuncia al tuo potere di attaccarmi e io rinuncerò alla mia volontà di seguirti'.
Io avevo perso completamente a causa della mia paura, il mio come ce l'hai tu, come c'era chiunque mio potere di attrarre gli altri. E allora gli altri rinunciavano a loro volontà di seguirmi. Quando l'ho riacquisito attraverso la psicoterapia non dico che sia stato facile perché purtroppo a volte si incontrano dei pregiudizi talmente radicati che neanche questo può bastare, ma sono casi rarissimi. In generale mi si è aperto un mondo.
E qual è il consiglio che tutti sentiresti di dare anche a tanti giovani e tanti ragazzi?
"Gli ortopedici quando ti tolgono un gesso dopo un infortunio ti dicono faccia quello che vuole, compatibilmente con il dolore. C'è il dolore che ti dà il confine su quello che puoi fare, quello che non puoi fare, a chi mi scrive mi chiede consiglio per se stesso o per il proprio figlio, io dico sempre fai quello che vuoi, compatibilmente con la tua paura. Arriverà dentro di te il fuoco che ti dice che hai coraggio è quello il momento in cui dovrei andare. Nel frattempo se può essere d'aiuto penso a me, se ce l'ho fatta io, garantito, puoi farcela anche tu".