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Attualità

7 minuti e 9 secondi di lettura
di Tiziana Oberti

 

"Qui a Beirut oggi si capisce che la guerra è veramente la follia dell’umanità e da qui vorrei dare un messaggio che spero possa servire a chi ci ascolta anche per mettersi in moto per far sentire la nostra voce di cittadini italiani attraverso il nostro Governo, attraverso le istituzioni per chiedere che ci sia la protezione dei civili da entrambe le parti e la ricerca di una soluzione di pace per questa regione del mondo". Così il genovese Luca Pellerano in diretta da Beirut con Primocanale. Pellerano si trova nella capitale del Libano da cinque anni e fino a pochi giorni fa era insieme a sua moglie, genovese, e ai suoi tre figli che ora sono rientrati in Italia vista la situazione. Lui fino a sabato resterà lì poi dovrebbe lasciare Beirut per una missione in un altro paese del Medioriente ma non sa se e quando potrà tornare.

Studi in economia all’università di Londra ha poi cominciato una carriera che lo ha portato a occuparsi dei temi di sviluppo del Sud del mondo e lavora oggi come funzionario di un’agenzia delle Nazioni Unite che si chiama organizzazione internazionale per il lavoro ed è lo specialista regionale nell'ufficio di Beirut che copre il Medioriente dove si occupa si tutti i temi legati all’assicurazione sociale, ai diritti al lavoro dei lavoratori.

"Oggi c'è una situazione relativamente calma ma c’è grande tensione nell’aria, sono stati giorni di paura vista la drammatica accelerazione del conflitto e l’impressione qui è di essere su un piano inclinato verso una guerra su larga scala tra Israele e Hezbollah - racconta Pellerano - le ultime due settimane hanno avuto un impatto veramente forte sulla società: la settimana scorsa l’attacco ai cercapersone di Hezbollah, che bisogna ricordare non è soltanto una forza militare ma una organizzazione con un fortissimo radicamento sul territorio nelle zone urbane ed è anche un partito politico. Un attacco che ha colpito più di 5000 persone e tantissimi civili io per esempio conosco persone che sono state colpite perché erano su un taxi con una persona che aveva un dispositivo di questo tipo, quindi questo ha creato un sentimento di pericolo e di grande paura oltre ad essere stato un colpo fortissimo alla capacità logistica ma anche in qualche modo alla credibilità di Hezbollah nel paese. Da lunedì poi una nuova ondata di pesantissimi bombardamenti al sud e nonostante l’indicazione che Israele avrebbe messo in atto un intervento mirato ci sono stati già quasi 600 morti in due giorni e come hanno commentato anche alcune testate, anche sulla stampa italiana, sono questi tra i più distruttivi bombardamenti della storia recente: per fare un paragone i bombardamenti russi in Ucraina non hanno mai ucciso 500 persone nemmeno in un mese e durante l’ultima guerra tra Israele ed Hezbollah nel 2006 il numero totale di morti sono stati 1000, qui già soltanto nel giro di due giorni ci sono state 500 vittime e moltissimi sono civili quindi questo sta veramente seminando il panico soprattutto nelle popolazioni del sud. Ci sono già centinaia di migliaia di persone che si stanno spostando verso Beirut e anche verso il Nord che sono zone considerate più sicure del paese rispetto al Sud perché sono in prevalenza cristiana, bisogna ricordare che il Libano è una realtà in cui coesistono gruppi religiosi musulmani sciiti, sunniti e cristiani e quindi alcune delle zone del paese sono molto più esposte al rischio di conflitto perché hanno una maggior presenza di Hezbollah che è un’organizzazione diciamo una milizia che gravita nel mondo sciita".

"Alcune stime dicono che ci sono già mezzo milione di sfollati su una popolazione totale di 4 milioni e bisogna ricordare che il Libano ospita anche tra il milione e e il milione e mezzo di rifugiati siriani quindi si può capire il tipo di impatto che la situazione può avere".

"L’impressione qui è che nessuno, neppure gli Stati Uniti riescano a porre limite all’uso massiccio della violenza della guerra e cioè il timore che il Libano si trasformi in una nuova Gaza, in particolare il Libano del sud, ricordiamo che a Gaza ci sono state già più di 40.000 persone uccise di cui quasi la metà donne e bambini e Israele deve rispondere anche ad accuse molto pesanti per crimini di guerra di fronte alla corte penale internazionale".

"Adesso il fiato è sospeso - prosegue - da ieri ci sono delle indicazioni di una possibile soluzione diplomatica per evitare un ulteriore inasprimento del conflitto, sia la Francia che gli Stati Uniti hanno avanzato una proposta di cessate il fuoco, anche l’Iran ha preso una posizione piuttosto moderata all’assemblea Generale delle Nazioni Unite questa settimana ma questa mattina Netanyahu ha fatto trapelare che non c’è nessun cessate fuoco in vista e l’ordine all’esercito è piuttosto di continuare a battersi e ad abbattersi sul Libano con tutta la la propria forza".

"Il Libano ha affrontato un periodo veramente faticoso negli ultimi anni anche da quando noi siamo qui, un susseguirsi di crisi dalla rivoluzione fallita dell’ottobre del 2019, al collasso del sistema finanziario che è seguito diciamo a una svalutazione della valuta locale di più del seicento percento, poi l’esplosione al porto di Beirut il 4 agosto di quattro anni fa e anche uno stallo politico perchè il Libano è un paese che non ha in questo momento un presidente, non c’è un accordo tra le parti per eleggere un presidente dall’ottobre 2022 e quindi c'è un governo che di fatto è solo in funzione per la gestione degli affari correnti e a questo si aggiunge la presenza di 1 milione e mezzo di rifugiati siriani quindi una coesione sociale fragile. Oggi tutti i gruppi sono uniti di fronte alla minaccia del nemico ma sono anche fortemente divisi, ci sono forti tensioni interne alla società libanese che ovviamente è stata messa in ginocchio da questa successivo diciamo abbattersi di crisi molte causate anche proprio così dal disgregarsi di un sistema economico e di un sistema politico".

"Oggi persone che hanno perso il lavoro, i propri risparmi in banca, la capacità di accedere a servizi di salute si ritrovano adesso a dover gestire un’ulteriore emergenza ossia lo spostamento dalle proprie abitazioni quindi è evidente che è una situazione veramente di grandi difficoltà, i libanesi hanno dimostrato nel corso di questi anni una capacità di rialzarsi in ogni circostanza ma sicuramente sono ore molto difficili e ovviamente diciamo la risoluzione non è nelle mani del popolo libanese ma è nelle mani in questo momento di Israele e di chi può premere a fare pressioni per una soluzione diplomatica e quindi anche in qualche modo dell’Occidente degli Stati Uniti, dell’Iran nel cercare di trovare una ricomposizione di questa situazione che rischia veramente di diventare esplosiva".

"Sabato ho un aereo che mi dovrebbe portare fuori da Beirut ma ovviamente in questo momento è molto difficile anche lasciare la città e l’aeroporto opera a ritmi molto ridotti spiega - ci sono pochi voli in uscita io devo andare in missione in un altro paese della regione e non si sa se potrò rientrare ma sicuramente continua una presenza da parte della mia organizzazione e dei miei colleghi con cui stiamo lavorando per capire come un’organizzazione come la nostra può prestare supporto, ovviamente nell’immediato c’è bisogno di assistenza umanitaria, ci sono tante ONG anche italiane che si stanno mobilitando per mettere in atto tutta una serie di meccanismi di assistenza alla popolazione, agli sfollati e poi è importante comunque dare continuità al supporto alle istituzioni nazionali nell’esercizio delle loro funzioni nella speranza che ci possa essere una soluzione che permetta diciamo al Libano di continuare a esistere come Stato come società nel corso dei prossimi anni".

La voce di Pellerano si incrina quando condivide una immagine che ieri sera lo ha colpito: "Rientrando a casa dopo aver fatto due passi ho visto nell’androne del nostro palazzo un gruppo di persone che si era riunito alla sera a prendere un po’ di fresco all’aperto attorno a un piatto di frutta come tipico in queste zone, sono rifugiati siriani che lavorano e vivono a Beirut da anni, una di queste famiglie è quella del portiere del nostro palazzo, le sue figlie sono amiche dei miei figli, sono scappati dalla guerra a Homs in Siria e adesso sono di nuovo minacciati da questa incertezza, da una guerra che si può estendere in Libano, vite veramente segnate dal conflitto e guardando loro pensavo che dovremmo essere tutti più seri e determinati nel ripudiare la guerra in tutte le sue forme come ci chiede la nostra Costituzione".