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Attualità

Ospite a People a dieci anni dalla meningite fulminante che ha cambiato la sua vita
5 minuti e 40 secondi di lettura
di Tiziana Oberti

"Dieci anni fa esatti ho camminato per l'ultima volta con i miei piedi, poi è arrivata la meningite e le amputazioni ma anche se avessi una macchina del tempo non tornerei indietro perché la disabilità ha dato un sapore in più alla mia vita, più cose belle che brutte insegnandomi che bisogna sempre ripartire e mai arrendersi". Così a 'People - Cambia il tuo punto di vista' Andrea Lanfri, che il 13 maggio del 2022 è diventato il primo atleta pluriamputato a raggiungere la vetta dell’Everest.

La sua vita è cambiata dieci anni fa, il 21 gennaio 2015, per una meningite fulminante con sepsi meningococcica che ha portato all’amputazione di entrambe le gambe e di sette delle dieci dita delle mani. Nonostante le difficoltà non si è fatto fermare come dice lui da "quel piccolo batterio": prima l’atletica, dove tra il 2016 e il 2018, ha primeggiato nei 100, 200 e 400 metri piani; poi il ritorno in montagna, la grande passione giovanile. E uno dopo l'altro in questi dieci anni sta realizzando progetti all'apparenza impensabili

Nel luglio 2017 è riuscito anche a scalare una parete di 600 metri in Corsica, scalata anche pochi mesi prima della malattia, promessa che si era fatto durante il periodo trascorso in ospedale. Nel 2018 riesce a conquistare la Cime Grande di Lavaredo, passando per 'lo spigolo Dibona' e il Monte Rosa (4.634 mt.) e il Vulcano Chimborazo 6236m, in Ecuador, dando così via al progetto: 'Toccare il cielo con tre dita scalando l’ Everest e tutte le seven summits'.

Andrea ha un altro record ufficializzato dai Guinness World Records, sempre nel maggio 2022 durante il trekking di avvicinamento al campo base dell'Everest, ha corso 1 miglio in 9 minuti e 48 secondi a una quota di 5164m. Si tratta del record di velocità sul miglio più alto al mondo.

"Il mio secondo compleanno"

"Per me il 21 gennaio è una data importante perché è un po' il mio secondo compleanno - racconta a Primocanale - dieci anni fa per colpa di un meningococco, di una meningite, entro in ospedale e dopo molti mesi ne esco, non come sono entrato, quindi da lì sono nati i miei tanti piccoli Everest, nel senso tantissime sfide. Prima ovviamente il ritorno alla vita, alla quotidianità, però diciamo che non ho mai perso l'idea, la speranza, ma soprattutto la convinzione che sarei tornato in montagna. Non è stato un percorso facile, anzi è stato all'inizio molto faticoso, molto duro, però piano piano sono tornato nel mio ambiente naturale, insomma, quello che mi piace veramente fare".

"Il messaggio dell'Everest è che si può sempre ripartire"

"All'Everest in realtà prima della malattia non avevo mai pensato, è stata una conseguenza, l'ho visto sempre un po' come un messaggio importante, cioè oltre alla classica salita alpinistica, la mia salita è stata portatrice di un messaggio che sentivo dentro di me molto forte e volevo dirlo un po' a tutti, al mondo, che era quello veramente che se uno vuole, piace fare, desidera fare quella cosa, si fa e si va ben oltre le proprie possibilità e si può sempre imparare, sempre ripartire, sempre credere in noi stessi e questa era veramente la dimostrazione pratica, tangibile di tutto questo pensiero".

"Il mio desiderio era tornare subito in montagna, tornare ad arrampicare in parete, sul ghiaccio, la mia vita di prima. All'inizio ho collezionato tantissimi fallimenti, trovavo tantissime problematiche e queste problematiche diciamo che piano piano negli anni le ho affrontate una a una, sia con la preparazione, sia con l'allenamento, ma anche sotto un aspetto molto più tecnico, pratico, di realizzare delle protesi, non mi piace dire speciali, perché poi in realtà le mie sono tra le più semplici e le più economiche, però senza altro molto particolari, quello sì".

L'Everest: sul tetto del mondo

"Il progetto Everest nacque nel 2019, dovevo ancora capire tante cose, non avevo mai fatto una montagna di alta e altissima quota, quindi all'inizio ho fatto tutto un lungo avvicinamento, salendo varie montagne, un po' il giro per il mondo. Siamo partiti il 19 marzo del 22 in Italia e non era scontato ovviamente il risultato, potevano sempre andar storte tantissime cose e qualche cosetta ci è andata storta, ma insomma abbiamo sempre trovato le soluzioni e poi finalmente il 13 maggio alle 5.40 ore locali del Nepal, ho toccato il cielo con tre dita a 8.848, diciamo che è un po' un coronamento di un sogno, però dico sempre che per me è stato un punto di partenza, senz' altro un punto di arrivo, questo posso veramente confermarlo".

"L'emozione era altissima, era una giornata bellissima, stiamo stati fortunati, il meteo ci ha accompagnato fino su e ci ha accompagnato poi anche fino giù, eravamo pochissimi quel giorno e quindi me la sono veramente goduta tanto, circa 10 minuti, non so quantificare quanto in realtà siamo stati su, anche meno, però l'emozione veramente lì per lì mi sembrava un po' irreale, tutto un po' così strano".

"La malattia ha dato un sapore in più alla mia vita"

"Ricordo il 21 gennaio 2015 non in maniera negativa, per me è stato l'ultimo giorno che ho camminato con i miei piedi, a volte lo ricordo per quel motivo, però a oggi che sono passati dieci anni, fa parte della mia storia, del mio percorso, del mio cammino, senz' altro, è anche il mio percorso diciamo evolutivo, sono cresciuto tanto interiormente, dico sempre un po' che la malattia indubbiamente ha tolto parti fisiche, senza altro sì, però mentalmente ha amplificato, ha dato quel sapore in più che magari prima un pochino mancava, quindi il messaggio un po' che mi sento di dire, che poi è stata diciamo un po' la metafora perfetta in cui ho vissuto l'Everest: veramente si può sempre ripartire, si può sempre migliorare, si può sempre fare ciò che si vuole perchè la vita può veramente offrirci soluzioni inaspettate".

Le domande dei ragazzi: come si va in bagno sull'Everest e torneresti indietro nel tempo?

Ogni giorno della sua vita la vive appieno e spesso ripete ai giovani che incontra: "Mai arrendersi di fronte alle difficoltà, la vita va vissuta sempre in tutte le possibilità che essa ci offre". "Hanno iniziato a chiamarmi a parlare con i ragazzi poco dopo essere uscito dall'ospedale e loro mi fanno tantissime domande e la maggioranza sono quesiti che gli adulti non fanno: la più gettonata è come si va in bagno in tenda a 7mila metri".

"I ragazzi praticamente sempre mi chiedono se avessi a disposizione una macchina del tempo se tornassi indietro e io gli dico sempre di no: Ci sono stati mesi duri, tosti, dolorosi, chiamiamola brutti, per ha portato delle conseguenze positive, nel senso ha portato più cose belle che poi cose brutte in realtà, quindi a oggi veramente non tornerai indietro".

Credit foto ILARIA CARIELLO

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