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Attualità

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di Mario Paternostro

Capita, in questo periodo che ci avvicina alla celebrazione degli ottant’anni della liberazione di Genova dal nazifascismo, che si leggano e si ascoltino giudizi strani, per non dire, indecenti, di “obbligata ricorrenza” di questa data che, invece è sempre di più un “dovere civico”. Soprattutto il dovere di far conoscere ai ragazzi e alle ragazze di oggi chi ha loro consentito di essere liberi.

Ci sono tante strade a Genova con nomi sconosciuti alla maggioranza dei cittadini. Ebbene, molti di questi, uomini, donne, giovanissimi, erano partigiani. Molti hanno contribuito alla caduta della dittatura fascista e alla liberazione della nostra città.
Partendo da queste targhe di strade e piazze, Primocanale vi racconta alcune storie di questi protagonisti della Resistenza nella nostra città. Lo abbiamo fatto, avvalendoci del contributo di esperti, storici, scrittori e di materiale dell’Archivio storico di Primocanale. E di un importante volume uscito in questi giorni di Elio Berneri e Giuseppe Morabito edito da Erga, dal titolo “L’antifascismo e la resistenza nelle “Pietre” di Genova. 685 luoghi che raccontano la storia” a cura dell’Anpi genovese. Che nelle ultime pagine ha un utilissimo indice dei nomi e dei luoghi.

Sono personaggi che appartengono a diverse “categorie”, gente della città e della montagna, politici, operai, studenti, professori, medici, militari e sacerdoti. Tante donne, tantissime ragazze. La loro storia diventa l’occasione per ripercorrere alcune delle vicende della Liberazione e soprattutto della resa dei nazifascisti. Dalle torture alla Casa dello Studente, alla strage “del panino e della mela”, dalle rappresaglie contro gli operai delle fabbriche genovesi, agli eccidi di San Martino, della Benedicta, di Portofino, dai martiri del Turchino a quelli del forte del Castellaccio.
Soprattutto si evidenzia il coraggio di tanti diciottenni (anche un quindicenne) e ventenni che per la libertà hanno sacrificato la loro vita.

Infine si arriva anche a quella storica giornata a Villa Migone raccontata alcuni anni fa dall’ultimo proprietario del bellissimo palazzo di San Fruttuoso, il dottor Gin Migone che ci aveva accompagnato nella visita di queste stanze dove si incontrarono il generale Meinhold, il cardinale Boetto e gli uomini del Cln, (Scappini e Savoretti tra gli altri). Vedrete le stanze che ospitarono la firma dell’armistizio, la resa dei tedeschi, i preziosi documenti di questa storica giornata.

In quelle ore uno dei protagonisti della scena fu proprio il cardinale di Genova, Pietro Boetto che contribuì a salvare la città e che sarà ricordato in una preziosa mostra di lettere e fotografie nel Museo Diocesano, curata da Paola Martini e da padre Francesco Mortola. Proprio per rileggere il nostro passato e chi lo ha scritto con la vita, ecco che il presidente dell’Anpi, Massimo Bisca, gli autori del libro e lo storico Paolo Battifora , percorrendo le strade di Genova, ricordano alcuni protagonisti.

Come Efisio Atzeni ucciso a Terralba. Nato a Iglesias (Cagliari) il 25 novembre 1925, ucciso a Genova il 14 gennaio 1945. Vent’anni.
Efisio Atzeni “Balin” prende parte alla Resistenza nella sua città d’adozione, nella Brigata “Jori” della Divisione “Cichero”. A seguito della soffiata di un traditore, i militi della X Mas si precipitano a casa sua e, non trovandolo, minacciano di portare via un altro famigliare se il latitante non si consegnerà. “Il giorno dopo Efisio, elegantissimo nel suo trench alla moda, si presenta dai fascisti e viene arrestato. I parenti chiedono spesso di lui alle autorità che sempre li rassicurano sulla sua sorte. Una mattina, però, il ritrovamento di due cadaveri in corso Sardegna mette tutti in allarme.

“È il 14 gennaio 1945, epilogo sanguinoso di quello che resterà nella memoria come l’Eccidio del panino e della mela: tredici detenuti politici furono prelevati al carcere di Marassi dalle brigate nere, fatti salire su diversi camion e condotti nei pressi delle loro abitazioni per essere liberati. Dopo aver messo in scena il macabro e inspiegabile rito della consegna a ciascuno di loro di un panino e una mela, appena scesi a terra i prigionieri vengono abbattuti con un colpo alla nuca. Tre esecuzioni ebbero luogo a Marassi (Attilio Firpo, Giuseppe Biscuola, Antonio Tronfi), due sul ponte di Terralba (dove è stato trovato Efisio, con Giovanni Meloni), due al Campasso (Jursè e Spataro), altri due a Borzoli e quattro a Sestri Ponente. La strage suscitò lo sdegno popolare e, come riportarono i giornali all’indomani, i fascisti inventarono la versione di regolamenti di conti tra bande di ribelli bolscevichi.”
Il corpo di Efisio Atzeni fu rinvenuto dal fratello sedicenne Marco: «Era coperto di stracci, gettato in uno scatolone, il suo bel vestito sparito, ai piedi un paio di scarponi vecchi. Il funerale riuscimmo a celebrarlo solo dopo la Liberazione».

Sul ponte del Lagaccio che ha il suo nome dobbiamo ricordare Umberto Pini, un bambino di 15 anni, pensate, caduto per la Libertà.
“Dopo aver frequentato le scuole elementari - ricordano Berneri e Morabito - ha iniziato a lavorare presso un’officina specializzata in avvolgimenti elettrici. Il padre, che aveva una trattoria in via Prè, fu costretto a chiuderla in quanto considerata un ritrovo di antifascisti. Alla caduta del fascismo Umberto scende in piazza per festeggiare l’accaduto e, dopo l’armistizio, si schiera con la Resistenza aggregandosi alla 294ª brigata Garibaldi Sap Amedeo Lattanzi, dislocata tra Principe e Dinegro. Umberto, che aveva assunto il nome di battaglia di “Gaetano”, e un altro sappista, per scongiurare il pericolo di un minamento da parte dei nazifascisti, sono di guardia sul cavalcavia ferroviario di via Lagaccio. Un tedesco, in abiti borghesi, avvicinatosi ai due giovani, improvvisamente li colpisce con il fuoco di un'arma automatica. Colpito alla testa, Umberto Pini si spense, all'ospedale di S. Martino.”.

Ci spostiamo a Sturla in via Nino Franchi, partigiano caduto a diciotto anni. Nato a Milano, abitava con i suoi genitori a Sturla in via Porto vecchio. “Nel 1941 entra in contatto con gli antifascisti. Dopo l’armistizio partecipa alla raccolta delle armi abbandonate dai soldati allo sbando. Collabora con l’organizzazione “Otto” per la predisposizione degli aviolanci alleati per le formazioni partigiane. Nel gennaio 1944 quando viene paracadutato il primo rifornimento di armi a Cabanne di Rezzoaglio, in valle Aveto, si occupa del trasporto a Genova, dell’occultamento nell’officina del padre a Sturla e della distribuzione al Comando militare del CLN. Poi salirà in montagna a raggiungere i partigiani della “Cichero”. Sia lui che il padre Luigi sono iscritti nella lista degli 81 patrioti da arrestare. Con il partigiano “Scrivia” partecipa dal 22 al 25 agosto alla battaglia di Pertuso, durante la quale rimane gravemente ferito. Morirà il 28 agosto nelle braccia del padre che cercava di trasportalo in barella verso Bobbio".

Infine il ricordo di Stefanina Moro. Aveva vent’anni e una strada in Val Bisagno porta il suo nome. Era figlia di un partigiano morto in combattimento. Cresce nell’ambiente antifascista di Quezzi, dove apprende dal padre, comunista, i valori della libertà, della democrazia e della giustizia sociale. Subito dopo l'armistizio, “Rina” diventa una staffetta partigiana. Si muove in bicicletta o con i tram che collegavano Quezzi col centro. Nel settembre del 1944 viene catturata dalle Brigate nere a Cornigliano e rinchiusa nella Casa del fascio. Interrogata non dichiara nulla. I fascisti si insospettiscono e la consegnano ai nazisti della Casa dello studente. La torturano orribilmente, ma lei non rivela nulla. Ormai è in fin di vita così i suoi aguzzini la inviano all’ospedale civile di Asti dove morirà.

Percorro via Ezio Lucarno. La “sua” strada unisce via Struppa con la strada per Creto. Era un apprendista meccanico. L’8 settembre del 1943 salì in montagna con altri compagni e in clandestinità decise di chiamarsi “Cialacche”. In genovese vuol dire “chiacchiere”. Raccontano che fosse coraggiosissimo, ma dotato anche di un forte senso di responsabilità, tanto che fu nominato commissario di distaccamento della Brigata “Jori” della divisione “Cichero”. Cadde combattendo sull’Antola. “Entusiasta e animoso”- è scritto nella motivazione della medaglia d’oro al valor militare. “…distinguendosi per temerario ardimento….” . Fu colpito durante uno scontro notturno. L’accerchiarono, si staccò dai suoi compagni e si allontanò sparando e facendosi così ben vedere per attirare l’attenzione dei nazifascisti, facendo in modo che i suoi uomini potessero ripiegare e si salvassero. Lui cadde crivellato dai colpi. Nella “sua” strada c’è una scuola che ha il suo nome insieme a quello di Massimo D’Azeglio.

Dove il ragazzo è caduto combattendo un cippo reca incise queste parole, dettate dallo storico Giorgio Gimelli: "Dicevi: l'esempio del commissario/ è marciare per primo/ e mangiare per ultimo./ Così sei partito per primo in pattuglia/ contro il reparto nazista/ che qui ti ha ucciso./ Noi vorremmo poter ancora/ sentirti parlare dell'avvenire/ come facevi nelle riunioni/ del Distaccamento Mandoli/ e avremmo tante domande da fare/ tanti dubbi tante critiche tanta delusione/ da esprimere./ Ci fossi ancora tu/ Commissario Cialacche/ ad aiutarmi col tuo sorriso/ la tua fiducia nel Popolo/ e nella Classe Operaia".

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