GENOVA - Le elezioni le ha vinte Marco Bucci con le sue liste civiche. A leggere i sondaggi di Primocanale (ma anche qualche altro) e poi il risultato finale, sembra quasi che non ci sia stata campagna elettorale. Ma poi l'osservazione di un risultato elettorale è anche di andare a scoprire un po' più profondamente e estesamente come è andata. Fare insomma una analisi di tutto il voto.
E allora cosa si scopre, partendo dal successo del sindaco uscente e rientrante, oltre al suo primato conquistato anche con un numero di votanti così in ribasso? Non solo che ha vinto quello che i suoi avversari definivano in termini polemici da campagna elettorale un “capo cantiere”. Non basta essere un capocantiere per vincere le elezioni con tale distacco.
Un mio amico milanese, acuto giornalista di una bella notorietà e non certo di orientamenti da centro destra, mi ha spiegato che lui a Genova avrebbe votato Bucci, perchè la città gli sembra la sua Milano in trasformazione piena di cantieri di tanti anni fa. I cantieri non sono solo opere in movimento. Sono il segno di una trasformazione più complessiva, che è stata capita e, quindi, votata.
Ha vinto superando i partiti e ”mangiando” anche i suoi alleati, soprattutto la Lega che lo aveva “creato” e tenendo a distanza gli altri. Un altro segno del cambiamento epocale della scena politica genovese, che oramai da lustri sta subendo terremoti impossibili da prevedere e il cui finale è ancora incerto, se andiamo oltre Bucci.
Ha ridimensionato, questo voto, i populismi, quello leghista di Destra e quello dei 5 Stelle di Sinistra. Faceva un po' tenerezza, nella maratona elettorale di Primocanale, ascoltare il reduce grillino, Luca Pirondini, illudersi sul futuro del suo movimento e poi contare le scissioni che hanno tagliuzzato i pentastellati negli anni recenti: Paolo Putti, Marika Cassimatis, Agnese Salvatore e perfino l'animoso senatore Mattia Crucioli, anche lui fuoriuscito, che dall'alto del suo 3,7 genovese annunciava l'affermazione di un anti sistema pronto a imporsi in tutto il Paese.
Ha vinto Bucci e dall'altra parte il risultato degli sconfitti del cosidetto “campo largo” lascia una zona di gioco, non larga, ma consistente al Pd, che raddoppia quasi i suoi consiglieri e probabilmente impone a quell'alleanza, un po' tanto lenta a comporsi, un lavoro urgente, ma probabilmente più interessante del prevedibile.
Le elezioni comunali sono anche un perfetto sistema di analisi delle leadership locali, che nascono e che si spengono nella classe politica o aspirante tale. E qui, a parte i tre candidati sindaci o ultra premiati, come Bucci o riconosciuti bene, come Dello Strologo o emersi come Crucioli, non ci sono molte nascite in sala parto.
Lasciamo da parte i superassessori dioscuri di Bucci, come la macchina da guerra Pietro Picciocchi, benedetto da un bel numero di preferenze e la passionaria Pd, Cristina Lodi con il segretario Simone D'Angelo. Non vediamo spiccare altri risultati over size, altre stelle nascenti, malgrado molti impegni, consistenti in mobilitazione e anche in investimenti economici.
È il segno di una politica liquida che fatica a far emergere nuove leadership chiare e lampanti.
Sarà più dura in questo modo comporre una bella giunta, perchè il sindaco ultracivico dovrà scegliere i suoi assessori ascoltando molto gli equilibri interni, piuttosto che affidarsi ai boom elettorali o alle intuizioni esterne, come auspica giustamente il mio amico Mario Paternostro.