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di Franco Bampi

GENOVA - San Giovanni Battista è un santo molto importante: è il “Precursore” cioè quello che annuncia Cristo già dal grembo materno. Infatti, racconta San Luca (1, 39-45), che quando Elisabetta, incinta di Giovanni, ricevette la visita della Madonna, incinta di Gesù, Giovanni esultò di gioia nel grembo materno all’udire la voce di Maria.

Come ci informa San Marco (1,6), «Giovanni era vestito di pelo di cammello, con una cintura di cuoio intorno ai fianchi, e si nutriva di cavallette e di miele selvatico», una sorta di resina che si trovava nella corteccia degli alberi.

San Matteo (11,11) scrive che persino Gesù esalta la santità del Battista dicendo: « In verità vi dico: tra i nati di donna non è sorto uno più grande di Giovanni il Battista; tuttavia il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui».

Giovanni Battista è l’unico Santo, insieme alla Vergine Maria (8 settembre), di cui si celebra il giorno della nascita terrena (24 giugno), oltre a quello del martirio (29 agosto).

La morte del Santo è raccontata nei Vangeli sinottici dove si legge che Erode promise a Salomé qualunque cosa avesse chiesto, tanto era stata eccellente nella danza. Istigata dalla madre Erodìade, Salomé chiese la testa del Battista e la ottenne. Così, in questo modo subdolo Giovanni Battista trovò il martirio.

Le ceneri del Battista arrivano a Genova. Durante la Prima Crociata (1096-1099) i Genovesi, guidati da Guglielmo Embriaco, erano in Terrasanta ed ebbero un ruolo decisivo per la conquista del Santo Sepolcro (ossia della città di Gerusalemme, che avvenne tra il 14 e il 16 luglio del 1099). In questa occasione assunsero a loro insegna la croce di San Giorgio, croce rossa in campo bianco, che non abbandonarono mai più. Ma, per un ritorno in patria trionfale, occorreva portare anche qualche reliquia. Sulla via del ritorno a Genova, era possibile passare da Mira, un’antica città ellenica, nella Licia in Asia minore, oggi situata nei pressi di Demre nell’attuale Turchia meridionale. La città di Mira era importante perché conservava le ceneri di San Nicola di Mira, che ne fu vescovo nel IV secolo. E San Nicola di Mira – oggi più noto come San Nicola di Bari – è un santo importante. Si fa risalire a lui la tradizione di Babbo Natale. Viene considerato un santo miroblita, ossia un santo il cui corpo, prima o dopo la morte, emana una fragranza o lascia colare olio profumato.

I Genovesi sapevano che a Mira era conservato il corpo di San Nicola; sapevano anche che il luogo in cui era conservato era in uno stato di totale abbandono. Un trasporto a Genova sarebbe stato anche un atto di devozione nei confronti delle sacre reliquie. Pertanto, Guglielmo Embriaco, conduttore dei Genovesi, ritenne meritevole di andare a Mira per prendere i resti di San Nicola e portarli a Genova. Entrati nel convento dove le reliquie erano conservate, vi trovarono alcuni monaci addetti al culto che dissero ai Genovesi che erano stati preceduti dai baresi e dai veneziani una decina di anni prima. I Genovesi, ignari di ciò, pensarono che questa informazione potesse essere una pia bugia per non consegnare loro i resti di San Nicola. Iniziarono così a scavare sotto l’altare del Santo; finché non trovarono una cassa di marmo contenente i resti di un corpo. Sicuri di aver trovato le reliquie di San Nicola, trasportarono cassa e contenuto sulle navi. I monaci custodi insistettero per la restituzione in quanto quelle reliquie non erano quelle di San Nicola. Per convincere i Genovesi increduli, rivelarono sotto giuramento che si trattava delle ceneri di San Giovanni Battista, che il vescovo Nicola aveva ricevuto e che aveva fatto conservare in quel convento. Consci di aver trovato dei resti ben più importanti, i Genovesi caricarono le ceneri ripartendole fra le galee del convoglio con l’idea che, in caso di incidente, almeno qualche resto avrebbe comunque potuto raggiungere Genova. E la temuta tempesta si scatenò e fu così violenta da far temere un naufragio. Fu un prete che persuase i Genovesi che era necessario riunire le ceneri. Come questa promessa fu fatta, il mare si calmò immediatamente consentendo la riunione delle ceneri in un’unica teca. A questo punto il viaggio poté proseguire senza alcuna difficoltà.

Le ceneri arrivarono a Genova il 6 maggio 1099, dopo tre mesi di viaggio. L’Embriaco consegnò le spoglie di San Giovanni Battista sulla spiaggia di Caput Arenae e le affidò, prima di essere trasferite in Cattedrale, ai prelati di San Giovanni di Prè (la futura Commenda).

Nel 1327 Genova proclamò San Giovanni Battista Patrono di Genova, affiancandolo a San Giorgio, il santo guerriero di più antica devozione, e a San Lorenzo, titolare della Cattedrale. Nel 1625, fu nominato patrono di Genova anche San Bernardo, per gli aiuti dati ai Genovesi durante la Prima Guerra Savoina, cui conseguì la vittoria dell’esercito genovese contro le truppe sabaude.

Ritornando a San Giovanni Battista, va ricordato che nell’anno 1853, papa Pio IX volle che fossero mantenute le feste del patrono principale. In questa occasione mons. Charvaz, arcivescovo di Genova, dichiarò San Giovanni Battista Patrono Principalissimo di Genova.

Come sempre accade, il nome del santo patrono diventa uno dei nomi più comuni da dare ai bambini. Così, oltre a un formale Sàn Giovànni Batìsta, si sentono i nomi Gianbàtista e Bacìccia e finanche un sintetico GiBi. Addirittura il poeta Giovanni Battista Rapallo(1848 - 1929) giudica una fortuna chiamarsi col nome del Santo Patrono e conclude il sonetto dedicato ai promotori della Compagna con questa terzina:

e, quæxi no bastàsse, miæ che dìccia,

li m’àn zenéize viâxo consacròu

inponéndome o nómme de «Bacìccia»

(e, quasi non bastasse, guardate che fortuna, / lì mi hanno genovese verace consacrato / imponendomi il nome di Giovanni Battista)

San Giovanni Battista è stato anche raffigurato sulle monete genovesi. La cosa è curiosa perché mai i genovesi hanno raffigurato una figura umana sulle loro monete, non era cosa di loro interesse. La prima figura umana, che fu rappresentata sulle monete a partire dal 1637, fu quella della Madonna Regina di Genova che fu incoronata il 25 marzo del 1637. Da allora Genova è diventata la Città di Maria Santissima e lo è tuttora. Come già detto, successivamente venne anche raffigurato San Giovanni Battista.

Una parola genovese discende dal subdolo martirio di San Giovanni Battista. Questa parola è miödìn che vuol dire subdolo, ipocrita. Michelangeno Dolcino spiega che deriva: «da Miödìnn-a, nome dato dal popolo a Salomé, la responsabile della morte del Battista».

Ma forse la tradizione più nota era quella di accendere un falò (in genovese: fòu, pl. foéi) la sera prima della festività del Santo. Si cominciava con la preparazione in cui i ragazzini andavano a chiedere soldi per San Giambattista: pe-i fêughi de Sàn Gianbatìsta oppure nìnte pe Sàn Gianbatìsta?. La biscioêta (il salvadanaio) era fatto da una làmma pe-e tomâte (un barattolo per i pomodori). I soldi raccolti servivano per comprare i fùrgai (razzi artificiali), i bòtti (petardi) e le celebri scorisèrve (castagnole) in grado soltanto di scoppiettare e correre terra terra mandando via le serve (da cui il nome).

Occorreva poi trovare la legna da ardere, ma di solito qualche mobile vecchio, qualche cassetta di legno o qualche persiana che aveva perso le doghe, si trovava sempre con la collaborazione e la complicità di tutti.

La sera, accatastata la legna, i molti intervenuti davano fuoco al falò, senza tanti problemi di pompieri. Forse sarà stato merito del Santo che vegliava sulla gente, ma non si ha ricordo di qualcuno che si fosse fatto male durante queto rito. E sì che i galànti più coraggiosi saltavano il fuoco del falò per propiziare la loro unione. Ma il falò, che proveniva da antichi rituali pagani, aveva anche lo scopo di tener lontane le strîe (streghe). Per questo vicino agli usci di casa si mettevano varie scope di saggina: si credeva infatti che le streghe fossero irresistibilmente attirate dalle scope e si mettessero a contare a una a una le loro paglie; stanche di questo lavoro avrebbero abbandonato il proposito di entrare nella casa. Probabilmente a questa credenza si è rifatto Fabrizio De André nella sua canzone “A çìmma” quando canta:

ti metiæ o brûgo réden inte ’n cantón

che se da-a càppa a scùggia in cuxìnn-a strîa

xêua de contâ e pàgge che ghe són

(metterai la scopa dritta in un angolo / che se dalla cappa scivola in cucina la strega / vola via avendo contato le paglie che ci sono) che è esattamente quello che è stato appena descritto.

 

Va ricordato che da molti anni il Comune di Genova organizza, nella serata del 23 giugno a partire dalle ore 21:00, una serie di eventi che culminano a mezzanotte con l’accensione del tradizionale e suggestivo falò di San Giovanni.