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di Gilberto Volpara

L’entroterra del genovesato, nel fine settimana, unisce la tradizionale capacità attrattiva, all’insegna di freschi panorami ed enogastronomia locale, con un focus d’altissimo livello sulla scienza. Merito del Festival dello Spazio, in scena a Busalla a 30 anni dall’impresa del valligiano doc Franco Malerba, primo astronauta italiano. Tema della rassegna, proprio, il cibo in orbita con un filone quanto mai attuale dopo l’annuncio dell’olio italiano (forse ligure?) presente nella spedizione di Samantha Cristoforetti. Non c’è dubbio, però, che la vetrina internazionale alle spalle di Genova, con scienziati provenienti da ogni angolo del mondo, sia un’occasione unica anche per i prodotti tipici di valle, anch’essi, minacciati dalla terribile siccità d’annata. Ricchezze dal valore inestimabile, spesso, trascurate e ritenute “normali” da chi vive questi territori. Uno su tutti rappresenta Busalla e dintorni: la Rosa con i suoi derivati, in primis lo sciroppo, già presidio Slow Food.

Qualche stagione fa Franco Malerba aveva consegnato una speciale Rosa al collega Paolo Nespoli per un viaggio spaziale. Gesto simbolico, ma altamente promozionale con l’obiettivo della conoscenza di quel marchio inimitabile in ogni angolo del pianeta e non solo. Adesso, c’è bisogno di una tutela ancora maggiore che non può passare dalle astronavi, bensì, deve avere radici ben salde sulla terra. Riferimento, la politica o quanto ne resta. Infatti, nel frattempo, sulla Rosa dello Scrivia si sono allungati gli appetiti del mercato che ha messo nel mirino i piccoli produttori locali, potenzialmente tentati da qualche lira in più consegnando tutto alla grande distribuzione. Il rischio? La nascita di un unico consorzio che gestirebbe l’intera filiera tralasciando, ovviamente, visioni più artigianali del passato vissuto fino a oggi. Consapevoli tutti di una necessità d’adattamento ai tempi moderni con maggiore visione da chi ha avuto il merito di portare la Rosa fino qui e, parallelamente, evitando ruzzoloni prettamente commerciali, ecco, la visione del Cucinosofo Sergio Rossi.

“Lo sciroppo di rose dell’Alta Valle Scrivia ha varcato da tempo i confini nazionali: è una delizia riconosciuta e apprezzata in diverse parti del mondo, nonostante sia prodotto in quantità ancora contenute. Tuttavia, proprio questa sua notorietà richiede una particolare attenzione affinché lo sciroppo, come la conserva e altri prodotti a base di rose coltivate nelle vallate alle spalle di Genova, sia ancora più legata ai territori che da secoli lo identificano come prodotto locale tradizionale. Inevitabilmente, la notorietà porta anche l'imitazione e sono numerosi gli esempi di “nuovi” produttori di sciroppo di rose di altre regioni. Se va benissimo la valorizzazione come il presidio Slow Food o l’iscrizione al registro dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali, occorrerà trovare altri mezzi di diffusione della cultura legata alla coltivazione delle rose da sciroppo e della lunga storia che le lega allo Scrivia. Ciò significa, per esempio, attivare una campagna di comunicazione, puntuale e ben congegnata, capace di evidenziare il valore storico dello sciroppo di rose e la sua lunga convivenza con le comunità del genovesato, dapprima come preparato di farmacopea, poi come delizia di confetteria e, in parallelo, come prodotto casalingo che sciolto in acqua fresca d’estate e calda d’inverno, ha confortato intere generazioni".