GENOVA - Ho avuto la grande fortuna di lavorare con i due più grandi direttori del ventesimo secolo, Indro Montanelli e Eugenio Scalfari, un privilegio incalcolabile. Non sono degno di ricordare oggi Scalfari, nel giorno della sua morte, dopo una vita lunga 98 anni, tanto ricca, influente, non solo nel giornalismo, centrale nelle vicende del lungo dopoguerra che oggi culmina in questa altra guerra.
Molti lo stanno facendo e lo faranno benissimo nella rievocazione complessiva della sua figura, ricostruendo una personalità così forte e una esistenza dedicata soprattutto al nostro mestiere, fare i giornali. E nessuno più di lui lo ha fatto, con l’Espresso e con Repubblica soprattutto, diventata con lui il primo e unico vero giornale nazionale italiano, il più diffuso e il più radicato in ogni angolo d’Italia.
Posso solo ricordare la gioia, la soddisfazione, gli enormi vantaggi professionali di essergli stato vicino, di avere condiviso e imparato. Grazie a lui abbiamo lanciato nel settembre del 1992 - trenta anni fa esatti - l’edizione ligure di Repubblica con un’operazione che salvava lo storico “Lavoro”, la sua storia, la sua redazione, i suoi lavoratori, un pezzo vero di giornalismo e di vicende non solo genovesi e liguri. Basta pensare a Pertini, a Irene Brin, a Giovanni Ansaldo, a tanti altri grandi giornalisti e intellettuali.
Sembrava una operazione impossibile, mettere insieme due giornali, uno nazionale, che stava raggiungendo il suo culmine diffusionale e l’altro genovese - ligure, che aveva condotto inimmaginabili battaglie per resistere nel mondo difficile dell’editoria, dove incominciava la crisi che oggi vediamo esplodere così complessivamente e drasticamente.
Dare a Genova e alla Liguria il giornale di Scalfari, con il vecchio Lavoro, era stata una scommessa vinta e un’operazione che ha continuato a garantire una voce importante, una sponda fondamentale nella città.
A vigilare insieme a lui c’erano due grandi genovesi che ricoprivano un ruolo importantissimo nel gruppo Espresso, Piero Ottone, il grande giornalista e Marco Benedetto, diventato da semplice cronista cittadino uno dei manager più importanti del mondo editoriale italiano, l’amministratore delegato del grande gruppo.
Scalfari era orgoglioso di quell’ operazione, che portava copie a Repubblica e onore al Lavoro, e non scorderò mai le sue parole di accoglienza a quella redazione che entrava nella sua e che avevo il grande onore di guidare.
Nei primi tempi mi telefonava spesso, quasi ogni sera, per spingermi, per confrontarsi, per suggerire. Mettere insieme l’anima moderna di Repubblica, che era appunta quella di Scalfari con il Lavoro, la sua tradizione profonda nata con i carbonini e l’avvocato socialista Canepa, è stata una sfida dura, ma importante che non tutta Genova aveva capito.
Ma che ha continuato a dare alla città una voce importante, che continua a essere presente in tempi tanto diversi. Grazie, quindi a Scalfari per questo.
Non dimenticherò neppure il suo legame per Sanremo, la città nella quale si era formato negli anni della scuola, nel famoso liceo Cassini, dove il suo compagno di banco era Italo Calvino. Ho accompagnato una volta Scalfari a Sanremo, dove era stato invitato a presentare un suo libro.
Ho percorso con lui i luoghi della sua bruciante adolescenza, quando si era formata la sua coscienza antifascista, e ricordo bene quanto l’emozione dei ricordi lo colpisse.
Speravamo tutti allora che la città lo riconoscesse come “cittadino onorario”, ma purtroppo la visione miope della politica impedì che gli fosse conferito quel riconoscimento, che aveva per lui un valore affettivo. Chissà se Sanremo e la Liguria oggi si ricorderanno di un personaggio che ci ha dato un giornale, strumento di libertà e che ha vissuto una parte importante della sua vita nei nostri confini.