Il mare, il nostro mare è troppo caldo alla fine dell'estate dei record: la più incandescente della storia da quando abbiamo misurato i gradi della temperatura. E allora le notizie tragiche che arrivano dalle Marche e dall'Umbria dell'ultima catastrofe alluvionale, con tutti quei morti e quelle distruzioni, fanno risuonare un allarme che conosciamo bene, almeno da quei primi giorni di ottobre del 1970 della “madre di tutte le alluvioni”.
E allora il pianto di Marta Vincenzi, raccontato sui giornali alla notizia di questa ultima sciagura di pioggia, fango, distruzione, morte, giustificato 11 anni dopo la sua personale vicenda di sindaco travolto dall'alluvione, dal conseguente processo, dalle condanne, ci scuote di nuovo e di più.
Non solo perché quello che lei ha pagato come condanna, come cancellazione della vita pubblica e politica, ci è sempre parso ingiusto, profondamente sproporzionato. Ma perché il suo pianto di fronte alle ultime immagini di morte provocata dal fango è stato accompagnato dalla denuncia che sono passati 11 anni da quel 6 novembre 2011 della tragedia è nulla è cambiato.
Certo, lo scolmatore del Fereggiano ora c'è e funziona anche se fortunatamente non è ancora stato messo alla prova. Ci hanno messo anni a realizzarlo, forze politiche diverse e amministrazioni anche contrapposte si sono unite nel terminare un'opera chiave per la sicurezza. Hanno incominciato anche i lavori per l'altro scolmatore, quello del Bisagno, ancora più necessario, che procedono con i soliti intoppi e ci vorranno anni perché sia terminato. E anche la copertura di questo fiume è stata finalmente conclusa e perfino addobbata con le aiuole e i fiori. Ma queste due “dighe” fondamentali non bastano certo a scongiurare il rischio che un clima oramai capovolto profila in modo sempre più terribile.
Il nostro territorio è fragile, il nostro equilibrio idrogeologico precario da decenni, da quando la città è stata costruita in questo modo, colline cementificate, rii e torrenti tombati da colate di asfalto. Centinaia di corsi d'acqua pronti a esplodere come bombe nel ventre della città. Rii e torrenti quasi “segreti”, come quello che sta ritardando l'operazione Hennebique.
Ma cosa possiamo farci, dopo avere costruito i due scolmatori e perfezionato il più possibile il sistema delle allerte, che ai tempi della Vincenzi non aveva le regole di oggi? Cosa possiamo fare aspettando che la bomba d'acqua non cada sul nostro territorio come sul resto della Liguria, terra meravigliosa ma pericolosissima di fronte a questo rischio, come la nostra storia dimostra anno dopo anno? Perfezionare la scienza metereologica, pregare che non accada.
Gli esperti mi hanno spiegato che il tema dell'ambiente “capovolto” non ha bucato molto in questa incredibile campagna elettorale estiva e accelerata, proprio nella stagione più calda di sempre e quando, semmai, l'emergenza era la mancanza di pioggia. Eppure la sicurezza, di fronte alle tempeste d'acqua e di fango, alla morte che viene dal cielo e che squassa il territorio e ci strappa dalle case, perfino dai letti, in notti di tregenda, come è avvenuto nelle Marche e in Umbria, dovrebbe essere un tema “vivo”.
E l'allarme non dovrebbe arrivare solo dal pianto di una sindaco così duramente colpita, undici anni fa che sembra ieri, non solo per lei e per le vittime di quell'evento.