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di Stefano Rissetto

Quando comprai casa a Genova, una minuscola scatola di fiammiferi però in un palazzo del Quattrocento, dovetti aspettare che la Soprintendenza non esercitasse il diritto di prelazione, dovuto al valore storico e culturale del mio angusto bilocale. Il notaio mi aveva assicurato che la Soprintendenza non si intrometteva mai, però metti caso che quella fosse la volta che lo faceva, oppure a occuparsi della cosa ci fosse stato un funzionario a cui stavo antipatico, insomma quando mia madre mi chiamò dicendo che era arrivata una busta gialla dalla Soprintendenza mi venne il batticuore. Poi invece era il via libera e quel bugigattolo divenne davvero mio, lo abitai per una quindicina di anni.

Ecco. Per i beni di valore culturale, prime fra tutte le opere d'arte censite, vale il principio giuridico che non possano passare di mano tra privati senza un via libera pubblico. Non deve insomma succedere quel che poteva accadere in Giappone, dove un miliardario si era comprato da Christie's per 85 miliardi di lire il "Ritratto del dottor Gachet" di van Gogh, asserendo che alla sua morte si sarebbe fatto cremare insieme con il dipinto. Poi non andò così, lo dovette vendere, però in un paio di cessioni successive del quadro si sono perse egualmente le tracce, così almeno non potrà essere imbrattato dai barattoli di minestra di quei pisquani che - per sublime eterogenesi dei fini - stanno conquistando risentite moltitudini alla causa dell'inquinamento. Altro discorso, però, questo.

La proprietà privata, disse anni fa il professor Toni Negri in una luminescente quanto impegnativa conferenza allo "Zapata" guidata dal mio amico Luca Lukino Oddone, "è disdicevole". Senza arrivare a un tale dissonante dannunzianesimo, più semplicemente credo nell'articolo 42 e in quella chimera della "funzione sociale" disposta per riserva di legge ordinaria, che fu terreno di scontro ideologico tra i Costituenti. Recupero questo concetto di "funzione sociale", peraltro del tutto disatteso nel tempo come gran parte della stessa Carta, in una chiave a me cara: perché sulla compravendita di un bilocale in via Luccoli, che interessava solo a me, gravava il parere vincolante della Soprintendenza, mentre un bene caro a centinaia di migliaia di persone può passare di mano senza alcun controllo, oppure regalato, anzi chi "vende" paga il "compratore"?

Insomma, si è capito che sto parlando della Sampdoria. Sbolognata clandestinamente otto anni e mezzo fa, in quel silenzio proprio delle malefatte considerate tali dagli stessi autori, in mani tra le peggiori possibili. Per dolo, per colpa grave, per ineffabile sinallagma. Poco importa o nulla, adesso.

Una squadra di calcio, come ben sanno tutti i tifosi, non è solo una squadra di calcio. E' la colonna sonora di molte vite. E' un padre e un figlio che vanno alla domenica al campo, uno invecchia e l'altro cresce e un giorno porterà un figlio e nipote, un padre e nonno alla domenica al campo. E' un intreccio di amicizie, inimicizie anche, amori, insomma tutto quello che avviene tra viventi. E' sopravvivenza, anche.

Non so come andrà questa volta, non ho certezze. In un mondo dove ormai i mariuoli non sono minoranza, come indirettamente dimostra l'allucinante vicenda del mondo arbitrale dove un condannato per narcotraffico ha fatto il procuratore disciplinare di categoria fino a un nuovo arresto, mi aspetto il peggio, tanto più che egoisticamente il meglio posso dire di averlo visto e vissuto. Però sarebbe il caso, specie alla luce di quanto patito sotto queste lune, di stabilire una regola: chi compra una squadra di calcio, chi vende una squadra di calcio, non commercia soltanto una società sportiva. Mercanteggia anche le emozioni, i sogni, i ricordi, le vite insomma di tanta gente. Servirebbe sorveglianza efficace su vicende come quella che ci ha fatto tanto male, otto anni e mezzo fa, e sul destino che ci attende.

Parlo della Sampdoria, s'intende, perché le voglio bene come a una persona, ha fatto e fa parte della mia vita privata e della mia carriera professionale, mi ha dato più dispiaceri e preoccupazioni che gioie ma ci sta, le euforie passano in un attimo e le delusioni restano. Ma so perfettamente che non ho alcun diritto di pretendere privilegi, rispetto ai sostenitori di altre squadre anch'esse vincitrici di almeno uno Scudetto, come Fiorentina Napoli e Torino per citare soltanto le più titolate. Perciò, se il destino di queste squadre toccasse alla mia, non potrei che accettarlo, non ci sono "dodicesimi uomini" o "popoli eletti" anche se ognuno, perfino nel calcio, pensa che il suo lo sia.

Però quel che è toccato a me e ai miei fratelli, otto anni e mezzo fa, è stato e spero resti un caso unico. Tuttora senza spiegazioni che forse non possono essere date. Un misfatto che andrebbe impedito, proprio in virtù di questo precedente che ha avviato la mia Sampdoria a un destino, per quanto ancora scongiurabile, ampiamente prevedibile.

Chi controlla una società di calcio, torno a dire, non controlla soltanto una società di calcio. Non dovrebbe potersene sbarazzare come taluni fanno di un cane a ferragosto su una piazzola autostradale. Non dovrebbe avvicinarvisi senza avere i mezzi per mantenerla degnamente e con la sola intenzione di arraffare l'arraffabile. Non ci sono buttafuori purtroppo all'ingresso del calcio, certo, anzi i requisiti di accesso a un mondo dove i soldi che girano sono inversamente proporzionali allo spessore di molti addetti ai lavori sono assai lassisti, tanto che le pene patteggiate non sono reputate condanne.

I miliardi delle tv a pagamento hanno giovato quasi dappertutto al calcio europeo, in Italia no. Bundesliga, Premier e Liga sono campionati ricchi, appetibili, pullulanti di campioni. In questi stessi trent'anni il calcio italiano, che tra gli Ottanta e Novanta comandava in Europa sia a livello di club che di Nazionale, è diventato Terzo Mondo, sia per risultati degli azzurri che delle squadre nelle Coppe, sia per l'impiantistica che per la presenza di calciatori internazionali. Eppure i soldi arrivavano, e ne arrivavano tanti. In una recente intercettazione giudiziaria, un commercialista diceva di un (ex) presidente: "Tutte le mattine si sveglia cercando un buco dove far scendere i soldi". Ecco forse perché, come diceva Formica del vecchio PSI, "il convento è povero ma i frati sono ricchi". Ecco perché una Soprintendenza ci vorrebbe anche nel calcio.