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Viaggio nei deliri dell’epoca Covid
5 minuti e 23 secondi di lettura
di Elisabetta Biancalani

Da due anni a questa parte non si fa che parlare di vaccini, a causa della pandemia: non si attraversa strada, non si entra in bar, non si sale su un qualsiasi mezzo senza che almeno due persone stiano affrontando questo tema.

Prima del Covid non era mai stato così, era uno degli ultimi temi dell’agenda mentale delle persone. La mia esperienza con i vaccini è iniziata quando ho avuto i figli. Ho cominciato a vaccinarli, con quelli obbligatori ma anche con qualcosa di più, tipo quello per la varicella, che quando è nato il maschio, 11 anni fa, non era obbligatorio, o il meningococco B, idem. Ho sempre scelto di vaccinare, semplicemente perché proteggere i miei bimbi dalle malattie mi sembra talmente naturale da essere superflua qualsiasi ulteriore spiegazione. Non sono mancati, ovviamente, i “patiretti”: quando hai un neonato di due o tre mesi tra le mani, e lo devi far vaccinare, a distanza di poche settimane, ripetutamente, non lo fai a cuor leggero perché magari gli viene la febbre, diventa nervoso per un paio di giorni, piange (parlando di lievi effetti collaterali). Ma mai mi sarei sognata di non vaccinarli. Ricordo lo spavento quando ho vaccinato la piccina contro il meningococco B, un vaccino molto pesante: ha avuto la febbre per qualche giorno, piangeva spesso, e io dicevo a mia mamma: “Me l’hanno rovinata, era tanto brava!”. Frasi dettate dall’emozione, dalla pura, ricordo di aver telefonato un paio di volte al centro vaccini di Chiavari chiedendo se fosse normale quello che stava succedendo e mi rispondevano sempre di sì. Tutto si è aggiustato, per fortuna. Anche perché se solo fossi stata in grado di farle ingurgitare un po’ di Tachipirina si sarebbe risolto prima, ma allora la bimba prendeva solo latte al seno quindi non ero stata capace a fare diversamente. Diciamo che dai miei capezzoli non usciva paracetamolo, ahimè.

Il vaccino contro il Covid per i bimbi lo ho atteso, come ho atteso quello per noi adulti, e lo ho desiderato. Soprattutto nell’ultimo periodo, quando il virus ha iniziato a contagiare soprattutto i più piccoli, nelle scuole. Quest’estate, se devo essere sincera, quando le cose andavano decisamente meglio di adesso, ero contenta che i miei figli fossero sotto i 12 anni, così da togliermi dall’imbarazzo di decidere se vaccinarli o no. Ma questo autunno, appena è stato autorizzato il vaccino tra i 5 e gli 11 anni, sono stata presa dalla solita foga che mi prende con i vaccini. Ho deciso di vaccinarli il primo giorno utile, come una missione! Mi prendo un po’ in giro da sola per questa smania. Già alle 8.30 del D-day, il 13 dicembre, quando si sono aperte le prenotazioni, mi sono connessa al sito della Regione, anche se l’orario ufficiale di inizio era alle 12. Infatti non era ancora attivo. Alle 12 eccomi di nuovo on line: credo di essere stata la prima a prenotare il vaccino all’ospedale di Lavagna, perché c’erano tutti gli orari liberi. Pensavo di essere una delle poche “esaurite” e invece per fortuna ho scoperto con piacere che non era così.

Ho atteso con ansia il 16 dicembre, dico con ansia perché avevo paura che i bimbi nel frattempo si ammalassero, anche solo un raffreddore o tosse, e non potessi vaccinarli. Invece mi sono presentata alla data fissata e con grande sorpresa ho visto che c’erano tanti altri genitori che avevano scelto di vaccinare subito i loro figli. Compilati due interminabili fogli, prima tappa il colloquio con il medico per l’anamnesi, e poi l’iniezione. Per fortuna i miei figli sono “amanti della siringa”: quando li ho vaccinati contro l’influenza si sono risentiti perché era uno spray nasale! E pensare che per par condicio, lo ho comprato il vaccino spray anche per il grande, pagandolo di più di quello tradizionale, perché credevo che preferisse non farsi bucare il braccio!
Comunque, tornando al vaccino anti Covid, dopo l’iniezione siamo stati accolti nella sala per i 15 minuti di attesa: il maschio, che ha quasi 11 anni, se ne fregava altamente della simpatica Capitana Vaccino, che invece ha dilettato la piccina che ha sei anni, e gli altri bimbi presenti: attestato di coraggio, che conserva gelosamente, tatuaggio di Capitan Vaccino, che ha voluto sulla mano (ma il papà glielo ha attaccato male e a momenti piangeva…). E poi i palloncini del colore e della forma che desiderava: un orsetto, nel suo caso. Pianti se ne sono sentiti, eccome, in quei 15 minuti, perché non tutti amano le siringhe.

Non nego che i timori per gli effetti collaterali del vaccino li ho: la notte stessa mi sono svegliata avendo qualche volta le traveggole e immaginando di vedere la "sagometta" della mia piccola arrivare perché magari aveva la febbre. Non è ancora successo, magari succederà, magari ci sarà un raffreddore o tosse, o sintomi influenzali e dolore al braccino (che mi sembra il minimo), mi auguro nulla di più, e intanto mi affido alla santa Tachipirina. E spero solo che il vaccino faccia il suo effetto prima che i bimbi prendano il Covid. Ecco, il Covid è come se mi mettesse sempre fretta: è come se mi sentissi sempre qualcuno alle calcagna, che mi segue. Per non parlare poi in questo periodi di Natale, quando temo particolarmente la malattia (e la quarantena) come la peste perché vorrei bere ogni istante dei giorni, fare tutti i brindisi del caso, vedere le luminarie accese nelle città, la frenesia degli acquisti. Poter sognare qualche giorno di vacanza. E invece c’è questo Covid che mi segue e spero non ci raggiunga.

Ovviamente, neanche a dirlo, sto aspettando spasmodicamente la data della mia terza dose: come ho spiegato all’inizio, per la foga di vaccinarmi, la avrei fatta il primo giorno dopo la scadenza del quinto mese. Ma in Asl 4 non c’era posto quindi la prima data utile che ho trovato è stata il 24 dicembre, la vigilia di Natale, quando evidentemente molti hanno paura di farlo per timore di rovinarsi la festa. Non che io non abbia questo timore, ma lo faccio lo stesso. Per chiudere (finalmente direte) questo fiume di parole, aggiungo che mai come in questi due anni mi sono sentita vicina allo Stato, sia centrale che locale, cioè la Regione. Mi commuove vedere i tentativi di convincere la gente a vaccinarsi, il tentativo di allietare i bimbi con capitan Vaccino e altro. Gli escamotage per evitare il caos. Solo per aiutare le persone a stare bene, e per evitare che l’economia ripiombi nel baratro dei lockdown.