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Anche per i soci principali del Fondo le nozze con la banca modenese "sono una grande opportunità", ma intanto il dossier non procede
3 minuti e 45 secondi di lettura
di Luigi Leone

Se si fa esercizio di realismo, il logico destino di Banca Carige è convolare a nozze con Bper (Banco popolare dell'Emilia Romagna). Per almeno tre ragioni. Primo: Fitd (Fondo interbancario tutela depositi), Bankitalia, governo e Bce possono chiudere una volta per tutte il dossier, con relative non leggere preoccupazioni. Secondo: fra Carige e Bper di fatto non esistono sovrapposizioni territoriali e in termini di sportelli, che significa possibile implementazione con tutela dei livelli occupazionali liguri. Terzo: la concreta possibilità di salvaguardare il marchio Carige, che per Genova e la Liguria non ha soltanto un valore storico.

Se dell'ultima questione a livello nazionale e internazionale tutti se ne possono impipare, ben diversamente sono osservati i primi due aspetti, certamente cruciali. E allora in tutta questa storia qualcosa non torna. Soprattutto non si capisce perché il Fitd abbia negato a Bper la possibilità di negoziare in esclusiva l'acquisizione di Carige. Se aveva una logica respingere la prima proposta emiliana (un miliardo di ricapitalizzazione da parte dei soci Fitd, un euro e l'Opa sul restante capitale azionario per il definitivo acquisto), per ragioni statutarie, oggi la scelta rimane incomprensibile.

Tanto più dopo che Gian Maria Gros Pietro, presidente di Banca Intesa, primo socio di Fitd, aveva benedetto l'operazione: "Quello di Bper mi pare un interessamento che rappresenta una opportunità". Più o meno le stesse parole usate dal numero uno di Carige, Francesco Guido, che aveva anche puntualizzato: "Sia chiaro che però non siamo una banca da salvare".

È vero, ma nondimeno è una banca che ha bisogno di una forte iniezione di denaro: almeno 400 milioni. Più altri soldi necessari a convincere chi si offre per l'acquisizione. Gli uni e gli altri denari devono metterli i soci di Fitd. Per Intesa, e anche per Unicredit, l'altro azionista forte e favorevole alle nozze liguri-emiliane, non ci sono problemi. Per le banche medio-piccole invece sì. Mel senso che non vorrebbero sborsare nulla, ma soprattutto la differenza fra i 400 milioni di ricapitalizzazione indispensabile e la cifra che potrebbe chiedere Bper approfondendo i discorsi.

Il no al negoziato in esclusiva con gli emiliani su Carige, dunque, presuppone la possibilità che il Fondo interbancario, guidato da Salvatore Maccarone, aspetti in realtà delle altre proposte. Una ipotesi è quella del fondo americano Cerberus, che avrebbe manifestato la propria disponibilità a pretendere meno di Bper. Ma Cerberus è un fondo, Bper una banca. Non è una differenza marginale per le prospettive di Carige. E neppure nell'ottica della Vigilanza di Bankitalia e della Bce, che ha competenze dirette su entrambi i soggetti destinati alle nozze.

Di più: in molte circostanze, sia Roma sia Francoforte hanno parecchio insistito sull'esigenza che Carige trovi un partner: perché adesso stanno in silenzio? C'è chi osserva che le istituzioni bancarie di solito fanno moral suasion con grande riservatezza, ma ci sono momenti in cui una parola in pubblico può aiutare.

Aiuterebbe, se non altro, a sgomberare il campo dai sospetti. Come quello di chi adesso vede il pericolo di un ritorno di fiamma di Bnp Paribas. Un grande gruppo, non c'è dubbio. E quindi un soggetto che potrebbe essere entrato nei discorsi fra Emmanuel Macron e Mario Draghi a proposito di un'Europa a trazione italo-francese. Con Carige nel ruolo di merce di scambio. Solo che Bnp non è propriamente la migliore ipotesi per il futuro dell'istituto di credito genovese. Per credere, chiedere dalle parti della Bnl, acquisita dai parigini e sulla quale adesso incombe il pericolo di un salasso occupazionale e operativo che sta facendo infuriare i sindacati.

Per carità, solo dubbi, sospetti. Per diradarli sarebbe anche utile che battesse un colpo almeno qualcuno dei silenziosi parlamentari liguri, di tutte le parti politiche. Si sta decidendo, nel bene o nel male, il futuro della principale banca ligure e nessuno, ma proprio nessuno, sente il bisogno di vergare una interrogazione per saperne qualcosa di più?

Questo aiuterebbe anche a scuotere il ministro dell'Economia Daniele Franco, pure lui rigorosamente a bocca cucita. Siccome viene da Bankitalia, la cosa non sorprende. Ma poiché oggi è il titolare del ministero più importante del Paese, e addirittura di lui si parla come possibile premier se Draghi migrasse al Quirinale, qualcosa dovrebbe dirlo.

Del resto, in ballo ci sono due cose non propriamente neutre: il destino di Carige, che fu la sesta banca italiana e tuttora mantiene una rilevanza che va oltre i confini liguri, e la nascita del terzo-quarto polo bancario se Bper acquisisse l'istituto di credito ligure. Va bene la riservatezza, ma della trasparenza di far sapere come stanno andando le cose è anche la politica a doversi fare carico