Non ci sarebbe stato momento più intempestivo per tentare di addebitare a Marco Lanna colpe che non ha. Quando si parla di "colpe" in relazione alla drammatica crisi della Sampdoria, chi accusa l'attuale presidente meglio farebbe a dotarsi di un oggetto molto semplice, una lastra di vetro ricoperta su un lato da una pellicola d'argento. Si chiama specchio.
Marco Lanna, campione da calciatore, è un uomo acuto e mite e appassionato. Non meritava di esser trascinato a rispondere di colpe altrui poche ore dopo una mirabile rappresentazione scenica, atta a ricordare al mondo che meraviglia fosse la Sampdoria, proprio domenica, prima della partita, con le lacrime impudicamente tracciate dalle telecamere, a scendere dagli occhi dei vecchi ragazzi che erano stati compagni di squadra e amici di Gianluca Vialli. Dieci personaggi in cerca di un capo perduto. Questo è stata la Sampdoria e a farla brillare non erano soltanto le vittorie, perché ogni anno in fondo qualcuno vince. Era una luce oggi perduta, un senso di amicizia e fratellanza, genuino e sincero.
Così in questo gennaio gelido, in cui il destino amarissimo di un nostro fratello ci ha riportato indietro di tre decenni, quando eravamo giovani e ogni cosa era illuminata, è parso ancor più intollerabile, anzi empio, un accostamento tra il giovane patriarca controvoglia e gli ultimi pesanti interminabili anni di pagliacciate e volgarità sgrammaticate in romanesco, anni in cui è stato volutamente deriso maltrattato vilipeso calpestato spogliato disonorato e alfine messo in gravissimo pericolo tutto quello che è tornato al cuore ieri, e che sorprendeva veder riaffiorare intatto dal fondale del tempo; coperto di alghe e conchiglie, ma intatto.
Da settimane non abbiamo più gli occhi per piangere e non per la classifica. E’ il momento più brutto e difficile di oltre 76 anni e non era proprio il caso che la commozione e l’angoscia venissero tramutate in sconcerto, nel vedere indicati a corresponsabili dello sfascio, messi sullo stesso piano, il Viperetta e Marco Lanna.
Quel Marco Lanna che domenica metteva tenerezza, così simile a ognuno di noi che non ce la fa proprio a smettere di rattristarsi, così indifeso nel mostrarsi vinto dalla sofferenza e dalla malinconia, chiamato dalla sorte a salutare davanti a una moltitudine affranta quello che avrebbe dovuto essere al suo posto, e tanto lo aveva desiderato, prima di arrendersi ai tempi inesorabili del suo male, tempi di cui da uomo intelligente era conscio, altrimenti non avrebbe trascorso il suo tempo ultimo a costruire un memoriale alla sua, alla loro “Bella stagione”. Quel Marco Lanna che nell’ultimo anno sembra averne vissuti molti di più, per l’impegno e l’insonnia e l’apprensione dovuti al protrarsi di un mandato che doveva esaurirsi con il passaggio di proprietà prima della scorsa estate. Non meritava Marco Lanna di vedersi incolpare dell’imminente fine della Sampdoria, lui che ce la sta mettendo tutta per salvarla.
E a tracciare il raffronto era proprio Edoardo Garrone, ovvero l’uomo che, a nome della famiglia, in un salone di un albergo di Brignole, in una conferenza stampa senza domande aveva officiato il passaggio della Sampdoria - e tutti ieri si sono visti ricordare che cosa abbia significato la Sampdoria, prima di essere cosparsa di un manto di bitume - nelle mani del Viperetta, un personaggio che non tanto la storia quanto la logica elementare incasella per sempre nel ruolo di deliberata creatura dei predecessori. No, a Genova il Viperetta non lo ha portato la cicogna o un colpo di sfortuna. Ce lo hanno chiamato loro, i Garrone e nessun altro. Il perché ormai importa poco. Certo, sarebbe bello che questo mistero fosse svelato. Sapevano o non sapevano quello che facevano i Garrone, quasi nove anni fa, lasciando la Sampdoria in quelle mani? Difficile dire, trattandosi di chi si tratta, se il dolo specifico o la colpa grave sia l’ipotesi peggiore.
Marco Lanna va rispettato, anziché essere additato con il CdA a corresponsabile di un dramma che sta attanagliando una moltitudine. Non è vero, prima di tutto, che il disastro è datato 2019, questo è come dire che un uomo che si butta dal centesimo piano di un grattacielo stia benone, omettendo che ciò vale solo fino al primo piano. La catastrofe coincide inesorabilmente con il 12 giugno 2014, con la consegna di un bene amato da centinaia di migliaia di persone in mani che gli stessi donanti avevano ritenuto inadeguate, altrimenti non si spiega (una delle tante, troppe cose inspiegate in questo “regalo”) la robusta e pluriennale dotazione economica conferita ulteriormente alla munificenza iniziale. Nel 2019 semmai è successo quello che avviene agli alianti quando l’aereo guida sgancia il cavo: senza più il traino motore la velocità si affievolisce, l’aliante perde quota, se il pilota è bravo atterra senza danni. Se il pilota è bravo, appunto, e non sembra questo il caso. Da quel 12 giugno 2014, la fine era nota; non era questione di “se” ma di “quando”, era solo questione di tempo. La Sampdoria era destinata a fare la fine di tutte le altre realtà toccate da questo sboccato eR adiM, un Re Mida al contrario.
Marco Lanna e il CdA hanno lavorato per un anno tra le macerie ereditate da un personaggio che aveva dovuto lasciare il suo posto in un modo che ad alcuni sembrava dall’inizio il solo possibile: l’intervento autoritativo e non eludibile di un pubblico ufficiale. Hanno lavorato, mettendo faccia e credibilità presso i creditori, per salvare la Sampdoria. Si sono visti assediati dalle pretese dell’ex capoazienda, determinato a salire di intensità nelle provocazioni (auguri al figlio sul sito pubblicati all’insaputa del presidente, apparizione allo stadio per la gara con la Roma, anatemi a mezzo stampa o video sempre più martellanti), per indurre Lanna alle dimissioni e tornare a regnare, che importa se su un mucchio di rovine. Per questo stupisce l’allineamento al Viperetta, nella campagna di delegittimazione del CdA, di chi dice di reputarlo l’attuale concausa della crisi.
E’ ingeneroso, ancor prima che ingiusto, mettere sullo stesso piano l’atavica avidità del Viperetta, prevedibilmente giunto all’odioso estremo di usare la Sampdoria come scudo per i suoi guai, e Lanna e i consiglieri perché indisponibili a fare da spalla a una scalata ostile alla società, scalata imperniata su un atto del CdA (l’abbattimento del capitale sociale) che avrebbe sicuramente innescato contromisure giudiziarie. C’è uno spietato motto zeneize che riassume lo spirito di questo progetto, ma in questi tempi di risacca del politicamente corretto non lo si può citare.
Serve insomma altro, se davvero si vuole salvare la Sampdoria. Serve impegno; serve coraggio da profondere in proprio, senza delegarne l’uso. Qui si tratta di risolvere almeno una delle due questioni fondamentali: la prima, che resterà probabilmente senza risposta, è un semplice “perché?”. La seconda è che non resta molto tempo per trarre in salvo la Sampdoria: chi può e dice di volerlo fare, lo faccia e lo faccia subito. Ci sono banche da convincere a fidarsi ancora, ci sono forse investitori meno propensi a porre condizioni unilaterali di quelli intravisti finora, per non parlare di quelli da operetta mediorientale esistiti solo nella fantasia di qualche cantastorie. Ci sono soprattutto da attenuare le conseguenze di un danno irreparabile, inferto - per colpa o dolo poco importa - a una storia che era stata a volte anche nobile, per lo più poco fortunata, ma sempre dignitosa. E chi ha provocato quel danno ha il dovere di ripararlo. Poi, ognuno per la sua strada per sempre. La Sampdoria bisognava non dico amarla, l’amore non è una cosa da tutti, ma almeno meritarsela. E se lo è meritato Marco Lanna, figlio di una moltitudine orfana ormai da troppi anni, in cerca di un padre.
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