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Oggi è cambiato tutto nel modo di calcolare la popolazione, al punto che il sindaco Bucci, avanguardista anche in questo, ha perfino temporaneamente interrotto la pubblicazione del Bollettino Statistico
2 minuti e 14 secondi di lettura
di Franco Manzitti

Ma davvero una città si misura con i numeri crescenti o meno dei suoi abitanti? Non mi convince molto questo derby, oramai scatenato a Genova, tra chi sostiene che le cose vanno bene perché il numero degli abitanti-frequentatori-user sarebbe in crescita e chi pensa che siamo in decrescita, perché, invece, il numero dei residenti diminuisce.

Intanto cosa vuol dire “abitare” la città per fare numero? Avere la residenza, lavorarci da pendolare, passarci da turista, usarla in qualche modo tot giorni al mese, esserci arrivato da immigrato? Un tempo il calcolo era unico e perentorio. Si calcolava sugli abitanti con residenza stabile, nativi o immigrati. E questi ultimi dagli anni Novanta in poi hanno compensato ampiamente la discesa dei nativi, in caduta libera per la trasformazione della città e per il suo inesorabile invecchiamento.

E quella era anche una Genova diversa. Bruscamente diminuita dal sogno del milione di inizio anni Settanta per il drastico ridimensionamento delle sue principali fonti di reddito, il lavoro delle fabbriche che “tagliavano”, se non chiudevano, il porto che aveva meno braccia per il calo leggendario dei traffici, fino a quel navi zero in porto, che scoprimmo la mattina del 1 gennaio del 1982 io e Mario Paternostro, con una inchiesta su “Il Secolo XIX.”

Allora era giusto calcolare così. Oggi è cambiato tutto nel modo di calcolare la popolazione, al punto che il sindaco Bucci, avanguardista anche in questo, ha perfino temporaneamente interrotto la pubblicazione del Bollettino Statistico comunale per renderlo più attuale. Bisognava calcolare in altro modo: usando le celle telefoniche di chi stava in città, altro che i numeri civici delle strade! E poi non era cambiato anche il modo di “stare” in città, lavorandoci, ma non dormendoci per una diversa qualità della vita, usando le tecnologie, misurando l'afflusso crescente dei turisti con gli sbarchi a migliaia dei croceristi?

Siamo arrivati al punto che Luca Sabatini, il professore dell'Università, mago della statistica, ha “pesato” 83 mila presenze di users oltre agli abitanti tradizionali, “cubando” i genovesi in una cifra superiore ai 700 mila. Ben superiore ai circa 580 mila del metodo di calcolo tradizionale. Non credo che la “potenza” della città si calcoli più in questo modo, accogliendo o la tesi tradizionale, per dire che decadiamo o quella modernista, per sostenere che siamo in inequivocabile ripresa.

Valgono altri criteri, meno numerico- statistici sulle presenze, ma più pragmatici: sul grado di sviluppo dei posti di lavoro, degli investimenti in corso, sulla qualità dei servizi che offre Genova e su quella di chi viene a Genova a lavorare. Luca Sabatini fa bene il suo lavoro e ci fa ragionare, ma credo che anche lui sia convinto di non avere trovato il “misurometro” della nostra condizione di genovesi dell'anno Duemila.