Devo sinceramente ringraziare il professor Cesare Catananti, medico, già direttore generale del Policlinico Gemelli di Roma e docente di Storia della Medicina di avermi distratto quanto bastava dall’attanagliante dibattito su Donzelli e Delmastro che, da una settimana circa, devasta pagine di quotidiani e talk show nazionali. Questa risanante distrazione è stata determinata dal libro di Catananti “La scomunica dei comunisti” edito dalla San Paolo, che presenteremo in un dialogo con l’Autore, lunedì alle 17.30 nella splendida chiesa dei Santi Cosma e Damiano in piazza San Cosimo, recuperata dalla Curia e affidata alle cure della libreria San Paolo di piazza Matteotti. Tutto parte la sera del 13 luglio del 1949, quando viene data ufficialmente la notizia che il Sant’Offizio ha predisposto un “decretum” con il quale vengono scomunicati i comunisti. Non tanto il partito guidato dal genovese Palmiro Togliatti, quanto tutto il popolo comunista (allora alcuni milioni di italiani). Notizia a dir poco scioccante. Determinava la scomunica certamente l’adesione al partito, ma anche la collaborazione con movimenti di ispirazione comunista e colpiva tutti quelli che professavano il comunismo, lo difendevano, lo propagavano.
Evidente che era papa Pio XII che aveva voluto questo provvedimento drastico e squassante, come sottolineava anche lo storico Sergio Romano, forse ancora angosciato “dalle giornate rivoluzionarie del 1919, quando il vescovo Pacelli, nunzio a Monaco di Baviera, aveva assistito alla creazione di un’effimera repubblica dei soviet. Ma il Papa non tenne conto del fatto che le proporzioni del fenomeno comunista in Francia e in Italia rendevano impossibile l’applicazione della scomunica”. Alle elezioni del 1948 il Fronte popolare con socialisti e comunisti, era stato battuto dalla Dc di De Gasperi, ma aveva raccolto oltre otto milioni di voti! Una scomunica collettiva di quasi dieci milioni di italiani era impensabile. Cesare Catananti ha scovato carteggi fino a oggi sconosciuti o secretati per scrivere un libro che è un appassionante romanzo storico-politico. Retroscena, intrighi e misteri illustri personaggi dietro un progetto che dovrebbe salvare il Paese dal comunismo e dalla trasformazione del Vaticano in una enclave cattolica dentro uno stato filosovietico. E ancora una volta emerge un “lato genovese” che vale la pena di essere approfondito.
Dunque la scomunica era davvero una bomba per l’opinione pubblica. La Segreteria di Stato, “era infastidita contro il Sant’Offizio del cardinale Ottaviani, dello choc causato dal decreto che considerava un errore.... Tutt’altro che facile l’applicazione. Che fare con gli edicolanti che vendevano la stampa comunista? Come comportarsi con i padrini di battesimo e cresima se questi erano comunisti? Bandiere e distintivi comunisti possono entrare in chiesa? Un parlamentare del Pci può essere testimone di un matrimonio?”. Il cardinal Siri, così vicino a Pio XII, in qualche modo approvò, ma corresse per l’unica volta il suo Papa. Scrive Catananti che: ”Siri più volte aveva segnalato la pericolosità del comunismo al sostituto della Segreteria e di Stato, monsignor Montini e disse a Pio XII non solo il suo accordo col decreto aggiungendovi anche i suoi dubbi. Li conosco gli operai, moltissimi di loro non sanno che cosa è il comunismo, vi si aggrappano perché è l’unica ringhiera che è stata mostrata loro”.Aggiunse Siri al Papa: “Santità ha fatto bene a emanare il decreto di scomunica. Guardi, però, che questo decreto così come è non può reggere. Non si possono condannare quelli che aderiscono al comunismo per la fabbrica dell’appetito.”
E nella clamorosa intervista che diede nel 1988 al mensile “30 giorni” rivelò ancora di avere risposto al Papa: “Santità questo provvedimento non va mica bene. Io di comunisti veri non ne conosco. Ci sono i facinorosi, ma la maggioranza è formata da gente che ha aderito per la promessa di avere migliorie sociali e salariali. Il Papa capì e il Sant’Uffizio in seguito precisò che la scomunica riguardava solo chi aderiva consapevolmente alle dottrine comuniste”. Nella consuetudine, poi, spiega bene Romano: “dopo essersi accorta del dissenso e del danno che quella decisione avrebbe comportato per l’unità dei cattolici italiani, la Chiesa finì per annebbiare il decreto con alcune dotte distinzioni canoniche e lo lasciò dormire negli archivi del Sant’Uffizio”. Dunque un’altra prova della pragmaticità del vecchio cardinale genovese. Al dibattito di lunedì promosso dalla Fondazione Diesse parteciperanno oltre all’autore, Fulvio Fania, giornalista, già vaticanista di Liberazione e con una esperienza politica nel Pci a Genova e Emilio Artiglieri avvocato presso la Curia romana e postulatore in cause di santi.