GENOVA -Gli avvocati si arrabbiano con il pm Walter Cotugno per una frase infelice rivolta in aula ai legali degli imputati del processo Morandi, tanto da arrivare a fare un esposto alla procura per chiedere provvedimenti contro il magistrato. E ci sta, quella di Cotugno è sicuramente stata una caduta di stile, inopportuna anche in un processo a un ladro di mele, figurarsi nell'aula del processo dei processi che ha addosso i fari di tutta Italia.
Unico problema è la frase incriminata, riportata, da giornali, siti e pure nell'esposto, tutti scrivono "inutile abbaiare ancora". In realtà la frase riferita dal pm è stata leggermente ma sostanzialmente diversa, infatti Cotugno dice "è inutile che abbaiamo ancora" aggiungendo poi anche "chiedo scusa" come a interrompere il vociare.
Una frase pronunciata rivolgendosi agli avvocati degli imputati che lo incalzavano durante l'audizione dei maresciallo della guardia di finanza Andreone sul controlli del viadotto della A26 Pecetti, una frase rivolta ai legali degli imputati, come si è capito bene in diretta in aula, tanto da indurre il decano dei penalisti genovesi Guido Colella a uscire indignato dall'aula per protesta.
Ma è anche vero che fra dire "inutile abbaiare ancora" o "inutile che abbaiamo ancora" è diverso: c'è un un plurale di differenza, un plurale che però potrebbe fare tutta la differenza del mondo e con cui l'autoritario Cotugno se proprio fosse costretto a difendersi davanti al procuratore generale potrebbe spuntarla.
Formalmente, infatti, lui sembra più invitare tutti, nessuno escluso, compreso sé stesso, a stare zitti, a fare silenzio, per andare avanti nel contraddittorio e nell'interrogatorio del maresciallo, e non a tacciare di cani gli avvocati.
Insomma se proprio si vuole metaforicamente identificare l'aula del maxi processo nel canile di Monte Contessa, almeno cerchiamo di non escludere dai box nessuna razza canina: con dentro i cani di guardia che difendono i 58 imputati, ma pure i tre segugi della procura che contro tutti e tutto stanno tentando di incastrare i presunti cattivi di una delle tragedie più gravi della storia d'Italia. Un disastro annunciato costato la vita a 43 persone e che ieri, nella stessa udienza andata in onda nel "canile" sotto la tensostruttura, è emerso che già negli anni '90 si parlava di demolire ponte Morandi perché già allora presentava troppe parti degradate.
Si avete letto bene: già oltre trent'anni prima del crollo si sapeva già che il viadotto Polcevera era a rischio. Una verità pesante come un macigno contro i vertici di Aspi emersa proprio nel giorno in cui per la prima volta in aula sono comparsi gli imputati più importanti, il numero 1 e il numero 2 di Autostrade, Castellucci e Donferri, il gatto e la volpe, quelli che avevano abdicato alla sicurezza in cambio dei dividendi. Quelli dalle intercettazioni imbarazzanti.
Osservando loro, lì davanti a noi cronisti, guardandoli seduti, rassicurati dal stuolo di avvocati di grido, osservandoli mentre l'anziano ingegnere rivela ai giudici quanto fosse annunciata la tragedia del ponte, non si poteva che essere assaliti da un unico grande desiderio, corrergli davanti per urlargli una sola domanda: "Perchè? Perchè non avete curato le nostre strade? Perché avete lasciato cadere il viadotto Morandi?".
Domande semplici come semplice sarebbe stato effettuare la manutenzione che solo ora stanno facendo, domande però ancora senza risposta e che niente, neppure il latrare di un intero branco di cani, può nascondere o fare passare in secondo piano.