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Parità di diritti, parità di occasioni, parità di merito e perché no, parità di stipendio. Nessuna agevolazione, nessuna scorciatoia perché "siamo donne"
3 minuti e 13 secondi di lettura
di Giorgia Fabiocchi

L'otto marzo è la festa della donna, così dicono i più. No, l'otto marzo è la Giornata Internazionale della Donna, dei suoi diritti, delle sue conquiste sociali, economiche, politiche. Cos'ho contro la semplificazione dei termini? Nulla, in particolare. Ma tengo molto alle parole, soprattutto quando si declinano al femminile. E la definizione dell'otto marzo deve essere completa, non costa niente qualche lettera in più. Partirei proprio dai diritti conquistati dalle donne, dalle battaglie portate avanti negli anni, da quella voglia di rivalsa che "non ha fatto mollare di un centimetro", come si direbbe nel calcio. 

Sì, proprio quel gioco con la palla in un rettangolo d'erba che mi ha accompagnata negli anni dell'infanzia e dell'adolescenza e che adesso, constato con piacere, sta diventando "normale" anche accostato al mondo femminile. Quando iniziai ad "appassionarmi al pallone", come diceva mio papà, avevo dieci anni e mi cimentai al torneo Ravano, in quinta elementare. Si consolidò proprio in quelle settimane il mio amore per il calcio che mi portò per diversi anni a calcare i campi in terra di Genova e in parte della Liguria. Una conquista piccola, piccolissima, rispetto a quelle che hanno fanno la storia, ma che negli anni ho capito avere la propria rilevanza. Perché è vero, il calcio è "solo" uno sport, ma la possibilità che nel tempo venga considerato normale anche in ambito femminile è un esempio, ripeto microscopico, di un passo verso la cosiddetta uguaglianza

Spesso sento dire che essere donna è un privilegio, lo è perché ti permette di vivere la maternità, perché la nostra spiccata sensibilità consente di vedere il mondo da un'altra prospettiva. Tutto vero, forse, ma non è retorica affermare che essere donne, in una società non ancora egualitaria, complica non poco l'esistenza. Basti pensare che ancora, nel 2023, ci sono Paesi nei quali la donna è considerata, per legge, "inferiore all'uomo", dove il suo corpo è rivendicato come merce di scambio: tu stai con me, sei al mio servizio, e io ti assicuro una casa nella quale vivere. Ma come si vive? La verità è che noi, dal nostro Occidente democratico e moderno, che ci piaccia o meno, non abbiamo neanche idea di cosa significhi tutto questo. Forse, neanche guardando un film iraniano potremmo riuscire a immedesimarsi in quella realtà.

E allora credo che solo attraverso la conoscenza, quella vera, profonda, e attraverso i racconti di donne che hanno deciso di non sottostarsi e di non nascondersi più, si possa diventare consapevoli. E la consapevolezza, nella vita, è quel viatico che permette di affrontare al meglio se stessi e gli altri. "Il mondo che vorrei", cantava nel 2008 Vasco Rossi, e se penso al mio mondo, a quello che vorrei, mi piacerebbe che fosse così, in due parole: giusto e coerente. Niente di più, niente di meno. Parità di diritti, parità di occasioni, parità di merito e perché no, parità di stipendio. Nessuna agevolazione, nessuna scorciatoia perché "siamo donne", ma solo la possibilità, a parità di capacità, di opportunità, di essere quanto e come gli uomini. In qualsiasi ambito della vita. Perché chi afferma che questo sia già così commette un errore, esiste ancora una disparità di trattamento che deve essere riconosciuta a ogni livello, a partire da quello maschile e istituzionale.

Da amante della politica, che crede fortemente nel ruolo che i nostri "discussi" rappresentanti politici svolgono, sono rimasta piacevolmente colpita dal dualismo Meloni/Schlein. Due donne, completamente diverse tra loro, ai vertici del potere, in un mondo a trazione maschile. Dall'underdog Giorgia Meloni, che ha portato il suo partito dal 3% al 30%, diventando anche la prima donna premier in Italia, alla Elly Schlein predestinata, capace di ribaltare un pronostico già scritto. Meloni e Schlein saranno chiamate alla prova dei fatti, ma dovranno essere giudicate in quanto politiche, appassionate e capaci, e non in quanto donne che, "guarda che storia pazzesca", sono diventare leader dei loro schieramenti. E allora sì, sarà questa la vera normalità. Buona Giornata Internazionale della Donna, senza retorica.