La manifestazione dei lavoratori edili che l’altro giorno ha paralizzato Genova, mette a nudo un grave problema nazionale: gli italiani possono fidarsi dello Stato?
Al netto di ogni altra considerazione tecnica, legale o ideologica, le imprese che hanno operato nel regime del Superbonus sono vittime di una delle questioni fondative dell’Italia unita: lo Stato, quando è chiamato a fare la sua parte, non si comporta seriamente.
Questo avviene in moltissimi campi ed è probabilmente il frutto, e nel contempo la causa, del rapporto malato che c’è tra cittadini e istituzioni. L’Italia non sarà mai un Paese moderno e pienamente occidentale finché non avrà sanato questa sua gravissima carenza.
Teniamo il Superbonus da un lato e pensiamo più genericamente ai tempi di pagamento delle pubblica amministrazione alle aziende private che lavorano per lei: la situazione è così incancrenita che il Ministero dell’Economia e delle Finanze è stato costretto a creare un cruscotto (consultabile on line) per tenere una traccia dei tempi di pagamento (sempre tardivi) e ha addirittura istituito un sistema di certificazione del credito, così da permettere alle aziende creditrici dello Stato di avere un pezzo di carta da presentare alle banche per ottenere l’anticipo degli importi dovuti (operazione che ovviamente non è gratuita). Come può uno Stato moroso pretendere che i suoi cittadini rispettino ciecamente le loro scadenze? Non può, e infatti non accade, aprendo un circolo vizioso che si avvita in un imbuto fino al punto in cui l’unica soluzione possibile è il condono.
La vicenda Supebonus è un’altra italica magia: il Governo attiva una norma che consente ai cittadini di ristrutturare casa (a certe condizioni) potendo beneficiare della restituzione della somma spesa in tre modi. Direttamente sulla propria dichiarazione dei redditi, scontando ciò che si deve al fisco; non pagando l’impresa, che si rivarrà poi sullo Stato all’atto di corrispondere le proprie tasse; oppure, ambito che ha destato il maggiore interesse, utilizzando una banca che si prendesse il credito, lo scontasse immediatamente (trattenendo la sua commissione) e lo recuperasse poi della sue dichiarazioni. Il problema è che le richieste di Superbonus sono state così tante che le banche, a un certo punto, hanno raggiunto il limite di quanto esse stesse avrebbero dovuto restituire al fisco e quindi hanno chiuso le porte a ulteriori domande. Prima che dal Governo arrivasse il definitivo stop a ogni forma di sconto in fattura.
Arrivati a questo punto ci sono milioni di italiani che hanno iniziato i lavori di ristrutturazione secondo una logica che non funziona più e ora non hanno i soldi per concluderli. Le imprese hanno aperto cantieri che non sanno come portare a termine, non hanno più banche disposte ad aiutarli e i cassetti fiscali pieni di crediti che non sanno come esigere.
Come vedete in questa descrizione non ho scritto nessuno dei nomi dei primi ministri che si sono avvicendati al potere e che hanno preso delle decisioni in merito a questa norma: perché di Conte, Draghi e Meloni può anche non fregarmi nulla, ciò che conta è lo Stato nella sua interezza. Se un’azienda contrae un mutuo e poi cambia il consiglio di amministrazione, gli effetti di quel contratto restano validi e chi viene dopo dovrà comunque pagare le rate. Perché lo Stato pensa di essere superiore alle sue stesse leggi?
E’ questo il dramma dell’Italia, è qui il nocciolo di tutti i problemi: se lo Stato non è serio, e quindi non rispettabile, come può svolgere la sua funzione di mediatore tra i cittadini, di regolatore delle vita sociale? Perché pretendo da un privato o da un’azienda di essere pagato in tempi ragionevoli mentre lo Stato può permettersi di non fare altrettanto?
Qui non c’è in gioco solo la sopravvivenze delle imprese edili, c’è in ballo la credibilità delle istituzioni nei confronti dei loro cittadini: perché la politica non conta niente quando in ballo c’è un’obbligazione. Lo Stato si è preso un impegno, lo Stato lo mantiene, chiunque ne sia il presidente: vale per me, vale per le aziende, deve valere anche per lui.