Non è una vittoria da festeggiare, non c'è una vittoria. In riferimento al passaggio del Giro d'Italia sul ponte che ha sostituito il Morandi dopo la tragedia del 14 agosto 2018, l'affermazione di Egle Possetti, leader del comitato famiglie delle vittime, è tranciante. E riesce difficile darle torto. Anzi, da questa donna minuta, ma molto solida nei valori, arriva ancora una volta una lezione per tutti. Più volte e da più parti si è parlato di miracolo in riferimento alla rapida ricostruzione di quello che oggi è il Ponte San Giorgio. Ma diciamocelo una volta per tutte: qui di miracoloso non c'è proprio niente. È esattamente come la vittoria inesistente di Egle Possetti.
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In un Paese normale, i tempi di realizzazione del nuovo ponte autostradale di Genova dovrebbero essere normali. Anzi: dovrebbe essere normale che un ponte come era il Morandi non fosse crollato, provocando 43 morti, decine di feriti e una cesura nei collegamenti viari liguri che certo non si è ancora suturata. Di più: in un Paese normale non solo non dovrebbe crollare un ponte come era il Morandi, ma se anche sventura avvenisse dovrebbe trattarsi, appunto, di una sciagurata fatalità per cause di forza maggiore. Di sicuro non perché sono stati omessi lavori di banale e ordinaria manutenzione con il solo scopo di arricchire la società concessionaria e i suoi azionisti.
Siccome, inoltre, non c'è nulla di normale neppure su alcuni aspetti giudiziari del processo appena iniziato per il crollo del ponte (come l'accordo intercorso fra il governo e Autostrade, che la Corte dei Conti ha biasimato), il fatto che il Giro d'Italia possa passare "proprio lassopra" lascia un retrogusto amaro. Anche perché l'impressione è che tutto quanto fa politica e promozione cerchi in un modo o nell'altro di utilizzare la tragedia del ponte. È al tempo stesso la spettacolarizzazione e la strumentalizzazione di una tragedia. Una cosa che fa ribollire il sangue. Che indigna. I modi per non dimenticare quanto accaduto sono altri.