Altro che bottegaio come, con uno dei suoi vezzi simpatici, gli piaceva definirsi per stare insieme ai suoi protetti principali, che erano senza dubbio i commercianti, grandi e piccoli, ma sopratutto piccoli.
Paolo Odone, uno dei più longevi nella gestione di importanti ruoli pubblici e civici, “eterno” all’ Ascom, venti anni alla Camera di Commercio, sette alla presidenza dell’Aeroporto, è stato forse l’ultimo, insieme a Luigi Attanasio, il suo successore tra gli stucchi e gli specchi della Camera di Commercio, di una generazione che si è battuta incessantemente per decenni, insieme ai suoi coevi, per fare Genova quella che è diventata ora. Sorvolando con il suo stile molto genovese, un po’ francese, un po’ da establishment, ma anche più ruspante, tanti blocchi di potere cittadino, tante bandiere di diverso colore politico e imprenditoriale. Tra contrapposizioni e mediazioni.
Era di nobili origini famigliari imprenditoriali, gli Odone del “Bianco e nero”, dei negozi eleganti, raffinati di via XX, di via Luccoli, di Albaro, ma “politicamente” veniva dalla strada, dalle battaglie dei Civ, che all’inizio degli anni Ottanta modulavano l’impegno dei commercianti per migliorare non solo le loro botteghe, ma la città intera, proiettata verso il 1992.
Sbucava dietro la pipa di Savinelli, il signore di galleria Mazzini, leader baricentrico di una Genova ancora mescolata nelle sue diverse vocazioni, con una banca ancora forte, quasi onnipotente, la Carige di Dagnino, poi Berneschi, ma prima ancora Ladisa e degli altri, che teneva in pugno una economia nella quale il terziario (allora si chiamava ancora così) faceva fatica a essere rispettato. E dove i commercianti erano ancora e sopratutto un potente serbatoio di voti democristiani, una categoria che grazie a quelli come lui incominciava a scuotersi, immaginando orizzonti ben diversi dalle botteghe fiorenti da difendere.
La sua grande svolta avvenne, oltre la presidenza Ascom, con la battaglia della Camera di Commercio alla fine del millennio, quando la contrapposizione con gli industriali, sotto la allora guida ultravolitiva di Riccardo Garrone, fu veramente dura e quasi sanguinosa, uno scontro che ha segnato gli opposti destini delle categorie imprenditoriali genovesi, nel solco di una trasformazione profonda della città e della sua economia.
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L’Odone che è venuto dopo e che ha “regnato” in via Garibaldi per quasi venti anni, e ancora regnava all’Ascom, nasce da lì, all’ombra di un altro uomo chiave, forse il vero deus ex machina di quegli anni, Giovanni Berneschi, “Alberto”, il vero governatore di Genova.
E il fatto che Paolo Odone sia abilmente sopravvissuto alla devastante caduta di cotanto potente, dimostra qual era la sua tempra, la sua capacità dialettico-diplomatica, l’abilità di “stare in mezzo”.
Lì è cominciato quello che oggi gli analisti chiamerebbero Odone 2.0 ante litteram, il leader che ha immaginato i nuovi orizzonti. Vale ricordare che per convincere l’Europa a inserire Genova con il Terzo Valico nel famoso corridoio Lisbona-Rotterdam, Paolo Odone partecipò da protagonista a ben 500 incontri, tutti minuziosamente contabilizzati, lungo l’asse geografico di quel percorso, che spalancava il nostro porto all’Europa dei grandi traffici.
Era il suo vanto quella partecipazione quasi ossessiva, rivendicata non solo nelle stanze dei bottoni europee, ma in qualsiasi incontro lo vedesse protagonista, ovunque si dovesse marcare il ruolo di Genova. Aspettava il Terzo valico come la svolta fondamentale anche delle sue battaglie condite di una dialettica spesso quasi martellante.
E oggi il rimpianto che non lo possa vedere inaugurato è veramente un rammarico forte. Nessuno più di lui lo meritava.
Si ispirava al modello francese di Nizza e della Provenza perché quella era la sua cultura, non certo solo economica, di sviluppo, ma proprio per vocazione e passione anche famigliare, grazie alla sua seconda moglie appunto francese.
Ha sempre saputo fare squadra con i “suoi”, una squadra che ha lavorato insieme per più di trent’anni, dove spiccava quello che può essere considerato il “Richelieu” genovese, Maurizio Caviglia, segretario generale oggi della Camera di Commercio, ma da sempre spalla di Odone, fino all’ultimo giorno, all’ultima ora.
Odone non sarebbe stato quello che è stato senza Caviglia. Ma anche Caviglia è diventato il personaggio influente che è grazie a Paolo Odone.
Forse, giunto alla soglia degli 80 anni un uomo dalla vita così intensa, dagli incarichi così numerosi, poteva essere anche accusato di resilienza eccessiva, di presenzialismo persistente. Ma Odone era così: interpretava il suo ruolo con la convinzione di una testimonianza necessaria per le sue categorie prima, poi per quella Genova che aveva letto e interpretato da sempre , scegliendo quella missione piuttosto che la posizione di comando nelle sue botteghe storiche e di grande tradizione.
Non smetteva mai di essere Paolo Odone, anche con l’età che avanzava, con gli acciacchi che incominciavano a colpirlo, con i dolori inevitabili delle perdite famigliari. C’era sempre e non si risparmiava mai.
Il vuoto della sua assenza si sentirà inevitabilmente, anche perché quello che rappresentava non è mai stato solo se stesso, la sua vocazione, i suoi molteplici ruoli, perfino la sua insistenza, ma anche un pezzo di Genova degli ultimi decenni.