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di Franco Manzitti

Anni fa un importante funzionario statale, che in quel periodo era il commissario dei lavori per il Terzo Valico, nella fase iniziale di quell’opera tanto attesa, mi espresse una sua visione dei grandi cambiamenti che quell’opera avrebbe prodotto non solo negli aspetti logistico-urbanisti. "Con una Genova e una Liguria che in qualche modo perdono il loro storico isolamento e si avvicinano al resto d’Italia e d’Europa in modo anche travolgente, si potrebbe anche modificare il carattere tradizionale dei genovesi e dei liguri, che ha i suoi difetti, ma anche i suoi pregi…", mi disse quel raffinato grand commis.

Alludeva chiaramente a quell’antico understatment forgiato da secoli di una storia di grande valore, tradizione, potenza ed anche necessariamente chiusura, tra il mare delle grandi scoperte e conquiste, della capacità di aprirsi ai mondo e le montagne che “isolavano” quella potenza e la caratterizzavano proprio nei suoi connotati genetici. Il tunnel ferroviario tanto agognato “rompeva” quel muro.

Siamo così, con questo tipo di carattere un po’ chiuso, ma nello stesso aperto, internazionale e al contempo riservato, che si apre con molta parsimonia. Siamo avari, nel senso che ha brillantemente descritto in uno splendido libretto una delle storiche genovesi più illustri, Gabriella Airaldi, e siamo generosi, solidali, accoglienti con chi soffre ed è perseguitato al contempo. Tra i più solidali che ci siano.

Usando la “macchietta” di moda qualche anno fa, potremmo essere anche descritti come quelli “della torta di riso che è finita e allora non resta che…”, come hanno scherzato quei comici che volevano descrivere la ritrosia nella nostra accoglienza, che spesso diventa perfino respingere e chiudersi nel proprio magari magnifico guscio.

Il ragionamento di quell’alto dirigente, che stava costruendo la maxi opera, mi è venuto in mente oggi di fronte a due aspetti che stanno imponendosi in modo eclatante sul nostro territorio in questi anni esplosivi di cambiamenti.

Primo aspetto: proprio la “grandezza rivoluzionaria” di queste opere oltre il Terzo Valico, che - incrociamo le dita - sta arrivando dopo un’attesa di oltre un secolo.

La nuova ciclopica diga, le funivie, la Gronda, il Waterfront, gli ampliamenti e spostamenti portuali, la metropolitana che avanza, lo sky tram in Valbisagno, la catena dei forti finalmente valorizzata, il nuovo nodo ferroviario, il tunnel subportuale eccetera eccetera…....  Sono appunto grandi opere, che escono caratterialmente un po’ dallo schema genovese, quello, per esempio, che faceva dire a Renzo Piano, mentre disegnava il nuovo Ponte San Giorgio, che doveva entrare nella Valpolcevera “cianin cianin”, piano piano, per non “urtare” quel territorio così delicato nella sua storia e nelle sue trasformazioni.

Qua di “cianin cianin” non c’è nulla. Le grandi opere sono per definizione così invasive : muteranno il nostro orizzonte un po’ ovunque e ci faranno fare un gigantesco passo avanti nel nostro sviluppo, se tutto ciò avverrà, come viene anche un po’ ossessivamente annunciato.

Secondo aspetto: lo abbiamo già scritto in anteprima, anche prima dei sensi unici nelle Cinque Terre e nelle ordinanze di Portofino contro la sosta pedonale.

Siamo invasi da un turismo che fa luccicare i nostri affari di città e Regione, sempre più votate a richiamare, che migliora e migliorerà la nostra economia, come i dati già dimostrano.

Ma le nostre strutture logistiche ricettive, perfino la nostra orografia, delicata nei suoi magnifici equilibri, sono già messe in pericolo. Non solo da un punto di vita proprio “fisico”, ma più generalmente.

La nostra è la “grande bellezza” di borghi piccoli e delicati, di spiagge-guscio, di piccoli paradisi difficilmente raggiungibili, di angoli tra monte a mare abituati a rispetto e silenzio. Tutto questo cambierà se l’invasione aumenta e allora dovremo cambiare anche noi che presidiamo tutto questo e giustamente aspiriamo a farlo fruttare, ma in un equilibrio necessario?

Insomma siamo in qualche modo a una svolta nel nostro modo di essere genovesi e liguri con i nostri geni stampigliati in quel carattere che qualche secolo fa ci faceva sgridare dal padre Dante, ma che fa parte della nostra gloriosa storia?

La risposta è facile: non siamo più nell’epoca medioevale, che il mio ex ex giornale ha ricordato, con un volumetto dedicato a quella Genova là.

Il mondo va avanti. E se non apri, ti colleghi, ti connetti, non ti internazionalizzi, i tuoi ragazzi se ne vanno e qui tutto si spegne, altro che internazionalizzarsi... 

Sarà tutto vero e tutto si potrà aggiustare ma io, forse per ragioni di età, qualche dubbio ce l’ho e non solo quando sono in coda da tre ore in autostrada