Come suol dirsi, conosco Claudio Scajola da quando entrambi avevamo i calzoni corti. Dice una bugia e lo sa benissimo quando afferma che non si sarebbe aspettato un simile successo elettorale. Lo aveva pianificato e ha ottenuto la conferma a sindaco di Imperia secondo i programmi, al primo turno. Se si vuole essere onesti intellettualmente, però, bisogna ammettere che questa pianificazione è durata cinque anni, ha avuto la concretezza come faro e qui dice una profonda verità: i cittadini lo hanno capito e si sono comportati di conseguenza, votandolo.
Come spesso gli è accaduto, Scajola ha saputo anche essere un perfetto stratega alla luce dei tempi che viviamo. Non volere simboli di partito non era uno sfizio. Nessuno, lui per primo, nega la provenienza dal centrodestra, ma avere il sostegno di una coalizione e non di singole parrocchie offre la credibilità delle mani libere, ove occorresse, dalle conventicole di parrocchia. Una scelta fatta anche dal Pd a Sestri Levante, che non ha imposto il suo simbolo al proprio candidato Marcello Massucco. Il quale forse non casualmente ha chiuso in testa il primo tempo elettorale.
Non è poco ed è importante. Cosa scriveremmo, oggi, di Fratelli d'Italia se avesse rimediato una sconfitta bruciante per essere andato contro un pezzo della sua alleanza nazionale e della sua stessa storia? Il partito della premier Giorgia Meloni ci ha messo una pezza all'ultimo, scaricando anche il malo modo il candidato che aveva selezionato, Luciano Zarbano. È stata una brutta figura, ma perdere con Scajola sarebbe stato peggio.
Il civismo dell'ex ministro è stato giustamente sottolineato dal governatore ligure Giovanni Toti, al quale il sindaco di Imperia ha comunque dato un consiglio: lasci perdere l'agone nazionale, ancora troppo in trasformazione e quindi incerto, e si concentri sulle cose liguri, in particolare sulla sanità. Sembra la benedizione anticipata per un terzo mandato di Toti alla guida della Liguria: visti i numeri, non è poca cosa.
Il centrodestra, del resto, ha di che sorridere anche guardando a Sarzana, dove Cristina Ponzanelli è stata confermata pur contro un usato sicuro del centrosinistra come Renzo Guccinelli. Anche qui, più che perdere Guccinelli ha vinto il fare di Ponzellini. Non è un distinguo irrilevante.
Così come arriva un messaggio chiaro e forte da Sestri Levante: appena il centrodestra si divide perde. Non è una novità eppure a quelle latitudini riescono ancora, a volte, a farsi del male. Ci sarà il ballottaggio per porre rimedio alla dicotomia tra Francesco Solinas e Diego Pistacchi. Ma si sa che i ballottaggi hanno il pregio di far ricominciare da zero la partita.
Varrà a Sestri come a Ventimiglia, dove il candidato leghista Flavio Di Muro non ce l'ha fatta subito proprio a causa delle divisioni nel centrodestra. Dovrà vedersela con l'esponente del centrosinistra Gabriele Sismondini e la contesa non è affatto scontata. Anzi, proprio su Sestri e sulla città di confine si focalizzano le attese in particolare di un Pd nel quale l'effetto della nuova politica di Elly Schlein si nota nella riconquista di una città come Brescia e nell'ottenimento del ballottaggio a Siena. E bisogna aspettare proprio questo secondo tempo per giudicare compiutamente la prima sfida elettorale fra le due donne della politica Italia, Meloni e Schlein. Anche se il loro vero banco di prova saranno le elezioni europee del prossimo anno.
Un ultimo cenno sull'affluenza: anche alle comunali l'astensionismo è cresciuto, con vesti stracciate da parte di tutti coloro che vedono in questo un pericolo per la nostra democrazia. A costo di essere provocatore e controcorrente, io non la penso così. E ricordo un vecchio adagio popolare: gli assenti hanno sempre torto. Inutile aggiungere altro.