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di Franco Manzitti

Fatevi due passi, se ci riuscite (e se non hanno appena scoperto un pericoloso ordigno bellico) nel cantiere del Waterfront di Levante e scoprirete la misura di un cambiamento epocale, un grande cantiere-Genova. Mai viste tante grandi opere in costruzione, in programmazione o nei disegni di trasformazione urbana.

Tra scavi di canali, nuovi palazzi, darsene, demolizioni, ricostruzioni, tra ruspe, gru e un formicolare di caschi gialli. E immaginate la madre di tutte le grandi opere, la superdiga, che viene da tremare a immaginarla con i suoi cento cassoni, alti dieci piani di un palazzo l’uno, da calare a cinquanta metri di profondità, cinquecento metri al largo, dopo che questi cassoni devono essere costruiti, riempiti e trasportati in un imponente corteo da Vado Ligure al cuore del nostro golfo.

Opere immani che riflettono un’idea della città in movimento e magari anche in polemica, ma in un flusso continuo di notizie. Perchè oggi c’è l’Inail, che vuole “affittare” l’operazione Galliera, che sembrava sepolta con lo stop alle gare di assegnazione del nuovo ospedale. E ieri c’era la ultima polemica sullo Sky tram della Valbisagno… e avant’ieri c’era la funivia che salirà a Forte Begato dalla Stazione Marittima e l’ovovia per gli Erzelli e il tunnel subportuale, che i camalli della Culmv temono perché la sua costruzione bloccherebbe il porto…

E allora, di fronte a tutto questo, e al resto di cui si parla continuamente, cosa volete che siano quei 38 pini (li ho contati) di Corso Andrea Podestà, nobile quartiere di Carignano, appunto 38 nel lato principale, da piazza Galeazzo Alessi al Ponte Monumentale e 5 sull’altro lato.

Genova, Comune sostituirà i pini di corso Podestà - LA DECISIONE

Cosa volete che siano questi 38 “monumenti”, piazzati lì a fine Ottocento da qualche agronomo imprevidente, che non immaginava, piantandoli, che sarebbe successo 130 anni  dopo, con le radici che deformavano i marciapiedi e danneggiavano i sottostanti spazi della collina di Carignano, oggi diventati abitabili?

Quei pini invece, sono un segno “forte” nella prospettiva genovese, in quello che oggi chiamano skyline, il disegno, ma anche la memoria della città, la sua essenza, il suo stato di bellezza e di forza identitaria.

Sono 38 più cinque e li vogliono abbattere e sostituire, dopo che hanno ornato e fatto ombra e “segnato” il loro territorio. Hanno deciso tecnicamente, dopo attenti studi, che dimostrano l’ineluttabilità dei danni che stanno provocando.

Ci crediamo: hanno fatto attenti approfondimenti di agronomia e sono arrivati alla conclusione letale per quel pezzo di città. Ma non c’era altra soluzione? I pini ultra centenari non sono solo piante di grande pregio e statura, sono, appunto, veri “monumenti”, come opere d’arte scolpite per sempre nel cuore della città, l’immagine non solo di quella zona, ma di Genova intera. I tecnici e il vicesindaco Pietro Picciocchi saranno anche in buona fede nel sostenere che non c’è altra strada che abbatterli. Ma l’operazione, minima rispetto a quel gigantismo delle grandi opere appena descritto, non ha veramente alternative?

Stanno progettando di piantare una foresta in piazzale Kennedy e di riempire di verde il nuovo Waterfront. Quel genio genovese di Renzo Piano da anni predica di salvare il centro storico e perfino il porto, nel suo fronte più urbano, piantando alberi, cospargendo di verde il cemento della città. E noi, quelli che svettano da secoli, pensiamo che non c’è altra soluzione al loro invecchiamento che sterminarli.

Di questo passo taglieranno anche quelli che fanno corona alla Spianata di Castelletto e che sono già curvi sotto il peso degli anni. Insomma andremo a deturpare irrimediabilmente quello che un poeta come Giorgio Caproni aveva definito il Paradiso, conquistato, appunto, salendo a Castelletto con l’ascensore. Vi diranno anche in questo caso che non c’è altra soluzione, se no i marciapiedi saltano in aria.

Complimenti Genova delle grandi (e piccole, piccolissime) opere!

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