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di Luigi Leone

GENOVA - Che Marco Bucci e Giovanni Toti godessero ancora di ampio consenso a Genova e in Liguria non è sorprendente. Si può disquisire su come il trascorrere del tempo consumi un po’ la loro immagine, come giustamente fa Franco Manzitti su questo stesso sito, ma il sondaggio di Tecnè per Primocanale conferma un trend che non è cambiato.

Quello che personalmente mi stupisce è invece il risultato delle opposizioni di centrosinistra, sia a Palazzo Tursi sia in via Fieschi. Se in entrambi i casi il giudizio negativo dei cittadini arriva a sfiorare il 50 per cento allora ci sono degli spunti di riflessione ai quali non si può sfuggire. Primo: esiste un comune denominatore che tiene unite le due minoranze, vale a dire la mancanza di un vero leader.

Tanto in Comune quanto in Regione, infatti, non c’è una figura capace di catalizzare il dissenso. Probabilmente ne basterebbe una per rovesciare l’idem sentire di tutti coloro che non si ritrovano in Bucci e in Toti. In queste condizioni, invece, l’opposizione vive soltanto di episodi sporadici, giocati più sugli scivoloni, veri o presunti, della maggioranza. Sono tutte figure, nel centrosinistra, che vanno “a rimorchio”, totalmente incapaci di esprimere una “diversità” rispetto al centrodestra.

Da questo punto di vista diventa cruciale un secondo punto: l’inesistenza di una proposta politica alternativa del centrosinistra. Bucci e Toti si sono caratterizzati soprattutto sul fronte delle grandi opere, variamente declinate, per cambiare volto a Genova e alla Liguria. Che cosa c’è dall’altra parte? Nessuno lo sa veramente, perché al di là di programmi, talvolta puerili, buoni per campagne elettorali perdenti, non s’è avanzata un’idea forte, un disegno di Genova e della Liguria che fosse diverso da quello del centrodestra.

Per onestà intellettuale bisogna dire che non è facile costruire qualcosa di veramente alternativo, perché molti progetti non hanno appartenenza partitica. Allora, però, servirebbero minoranze capaci di esprimere anche dei sì alle proposte degli avversari. Voglio dire che una opposizione preconcetta non ha più diritto di cittadinanza fra gli elettori e se questo non viene compreso poi è inutile che il centrosinistra si stracci le vesti di fronte a certi risultati. Mentre un’opposizione capace di dire dei sì acquisirebbe anche maggiore forza intrinseca.

Invece qui veniamo al terzo elemento che si staglia sugli altri, vale a dire il difetto di credibilità di cui soffrono soprattutto il Pd e il Movimento Cinque Stelle. Quando sono stati al governo, sovente hanno fatto le medesime cose del centrodestra. Solo che allora andavano bene, mentre adesso diventano occasione di polemica e di scontro. Siccome il cittadino non è scemo, l’esito di questo comportamento diventa esiziale.

Le contraddizioni di Elly Schlein e di Giuseppe Conte non aiutano certo, sotto questo profilo, a livello locale. Che poi ci mette del suo: possibile che il Pd non sia ancora riuscito a trovare un nuovo segretario regionale? E quanto ai Cinque Stelle, l’altro giorno un conoscente mi domandava: che fine hanno fatto Paolo Putti e Alice Salvatore, dai quali pareva che in Comune e in Regione non si potesse prescindere? Non lo so, ovviamente. E ciò, considerata la mia distanza dalla loro proposta politica, neanche interessa. Ma la cosa la dice lunga sul fatto che i presunti leader si brucino in un amen senza avere la capacità, da parte loro, di incidere.

Per questa ragione la performance di Bucci e di Toti non sorprende. Se poi ciò faccia bene alla democrazia è tutto un altro discorso. Così come di sicuro non fanno bene al centrosinistra le frotte di colleghi giornalisti che raccontano quanto si stia male in un Paese, in una regione e in una grande città governati dal centrodestra. Solo che quando il cittadino-elettore si accorge che non è vero (al massimo è cambiato poco o nulla), la credibilità di tutta quella parte politica va a farsi fottere.