Costante.
È un aggettivo dal valore enorme, soprattutto, in una società dell’apparenza dedita ai colpi di teatro, preambolo dell’oblio.
Quella parola resta una delle definizioni più concrete per un pilastro dell’associazionismo genovese come Cleto Piano, salutato in queste ore da centinaia di persona negli spazi sociali della Soms Fratellanza di Pontedecimo.
Dopo due giorni di pensieri e ricordi, nelle ore del funerale, con inevitabili carichi di tristezze e qualche sorriso, nel ricordare le innumerevoli azioni di generosità, chi l’ha conosciuto, valutandone le qualità di generosa moralità, concorda su quell’attributo come migliore scelta per rappresentare lo spirito dell’Uomo.
Problemi del quartiere, questioni di patronato, assistenza sanitaria, riflessioni politiche: Cleto c’era. Non importava se la bandiera fosse SpiCgil, Anpi, Croce Verde Pontedecimo o lui come persona singola, umile e gigante.
Trovavi le sue convinzioni oneste e inamovibili – fraterni saluti (laici), l’immancabile biglietto d’auguri natalizi – ma l’accoglienza restava parametro fisso. Dialogo con chiunque, compresi quelli agli antipodi del suo pensiero.
Distingueva con chiarezza la purezza dall’interesse, lui che alla prima fila aveva sempre preferito il ruolo più nobile della militanza silenziosa. Anche questa mattina, avrà differenziato l’affetto sincero da qualche passerella elettorale. Ovvio, sempre nel nome dell’inclusività a ogni livello.
“Ragassi”, diceva quando allargava le braccia e alzava i toni. Appunto, cari ragazzi, una vita spesa per gli altri non può finire con un saluto, seppur toccante, in una fredda mattina di gennaio.
No, proprio per la commozione che ha provocato in così tante persone, dalle storie assai lontane, quella costanza lascia in dote elementi che non possono essere dimenticati nell’indifferenza della presunta modernità:
l’impegno per “il nostro” ospedale, quando parlava del Gallino a rischio impoverimento di servizi e professionalità, la martellante convinzione che il concetto di uguaglianza iniziasse tra i banchi di scuola, con un confronto continuo per mezzo degli insegnanti locali e, infine, l’inclusività di un uomo della sinistra “che fu” con sopra la scrivania, ancora, la foto di Enrico Berlinguer.
Non è utopia, ma necessità. E neppure la sindrome genovese di Staglieno che quando entrano là dentro sono tutti santi. No, una convinzione.
Se il mondo che Cleto Piano portava indosso e rappresentava ogni giorno, senza rinunciare per questo a criticarlo in maniera severa, vorrà ripartire in modo vero, potrà farlo soltanto con esempi di uomini e donne, almeno, ispirati a una simile caratura.
Inclusivo e costante, appunto. Per tutto. Compresa, l’ambizione di governare Genova.