“Non è giusto che un governo finanzi con le tasse di chi guadagna 1000-1200 euro al mese il reddito di cittadinanza. Cioè dia l’opportunità di non lavorare a persone che potrebbero farlo con il sudore di chi si sobbarca un sacrificio per portare a casa poco più della stessa cifra che viene garantita a stare sul divano”. Questo ragionamento lo ha fatto in tivù il governatore ligure Giovanni Toti. Posso dire che lo trovo di banale buon senso? Lo dico.
Ma ciò affermato non posso non osservare come tutta la politica, quindi lo stesso presidente della Liguria, sia in forte, fortissimo ritardo su alcuni concetti basilari. Per esempio: bisogna fare la Finanziaria e la premier Giorgia Meloni è a caccia di almeno 30 miliardi. Questa massa di denaro, però, si immagina di tirarla fuori brandendo l’arma dei tagli, mentre nessuno sta pensando a ridurre le spese dello Stato.
Si potrebbe cominciare da quelle improduttive, per passare poi a quelle inutili e quindi a quelle che costituiscono un privilegio. Bisognerebbe mettere mano, in poche parole, alla spending review. Una revisione della spesa pubblica, per dirla in italiano. La conosciamo perché ne abbiamo e ne sentiamo parlare, anche tanto. Ma non uno che sia passato ai fatti.
Si va sui tagli, osservavo. Per esempio alla sanità. Che magari non vedrà ridotto il suo finanziamento, ma neppure verrà aumentato nella misura minima necessaria. Il che, alla fine, vuol dire diminuzione. Se ne sa qualcosa proprio in Liguria, dove le liste di attesa sono interminabili e dove curarsi costa caro, perché pur versando le tasse poi devi rivolgerti alle strutture private o usufruire dell’attività “intra moenia” dei medici (ma significa sempre pagare).
Oppure la manovra finanziaria del governo va a toccare i redditi dei lavoratori, ancora in calo rispetto al resto d’Europa, e quelli dei pensionati: nella migliore delle ipotesi non contemplando gli aumenti dovuti per il carovita, nella peggiore con riforme che allontanano vieppiù la possibilità dei nostri giovani di immaginare una vecchiaia supportata da un trattamento previdenziale adeguato.
Ma si potrebbe parlare, più in generale e non rimanendo vincolati alla manovra di fine anno, della mancanza di personale nei tribunali, nella sanità stessa, nelle forze dell’ordine, nei Comuni, nelle aziende che si occupano di acquedotti mentre le tubature sono un colabrodo e via elencando. Manca personale anche nelle aziende private del commercio, della ristorazione, della ricezione, dell’artigianato.
Manca gente un po’ per tutte le attività, eppure in questo strano Paese l’emergenza occupazionale sta in cima a ogni possibile sondaggio. Vista la situazione assurda e paradossale, ci sarà pure un diavolo di corto circuito nel nostro sistema! Il primo è certamente il cattivo utilizzo delle risorse derivanti dalle tasse. Però non è l’unico. Ecco perché il ragionamento di Toti sul reddito di cittadinanza è di buon senso ma allo stesso tempo monco.
In questi giorni, tanto per dire, si sta facendo un gran parlare del buco prodotto nel bilancio dello Stato dal cosiddetto “superbonus”, che invece viene difeso a spada tratta dal loro principale inventore, cioè il partito dei Cinque Stelle. Ora, Conte e sodali non sono affatto tenuti a sapere che cosa può provocare una loro scelta sbagliata, ma la folla di tecnici che gira intorno ai ministeri ne deve essere pienamente consapevole. E ha il dovere di mettere in guardia la parte politica. Possiamo almeno sapere se questo è avvenuto oppure no?
Ecco, è questa assoluta assenza di responsabilità e il quotidiano fiorire delle contraddizioni ad ingrossare le fila degli astensionisti, divenuti ormai un esercito. A proposito: a ogni tornata elettorale il piagnisteo sui seggi disertati accomuna tutti i politici e tutti i politici dicono che bisogna intervenire per bloccare l’emorragia. Poi, però, ce ne fosse uno che davvero fa qualcosa. Appunto…