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di Luigi Leone

“È sempre un dispiacere quando c’è chi decide di andare via, dopodiché se noi ci rendiamo conto che qualcuno possa non sentirsi a casa in un Pd che si batte per il salario minimo, per la scuola, per l’ambiente, per i diritti, per il lavoro di qualità, allora forse l’indirizzo era sbagliato prima “. Con queste parole il segretario nazionale del Pd Elly Schlein ha liquidato la decisione dei genovesi Pippo Rossetti, Cristina Lodi e altri di fare fagotto e migrare nell’Azione di Carlo Calenda.

Confesso che fino a quel momento avevo deciso di non scrivere di Pd, ritenendo che l’argomento delle sue difficoltà fosse stato ampiamente sviscerato. “E che palle” aveva sentenziato uno dei miei lettori. E io, che ho fatto come diceva Indro Montanelli, scegliendomi il lettore quale padrone, ero pronto ad andare oltre. Ma ascoltata Elly sul caso Genova devo concedermi una digressione.

Non entro nelle analisi che si sono sprecate nelle ultime ore, aggiungendone una mia. Mi soffermo solo su due elementi, fin qui poco sottolineati. Il primo: mi sarei aspettato che la segretaria nazionale del Pd alzasse il telefono e parlasse con i due leader che se ne vanno. O almeno che chiedesse ai suoi luogotenenti locali cosa stia accadendo a Genova, la quale è pur sempre la sesta città d’Italia. Invece nisba. Telefoni muti e parole che sembrano tanto contraddire altre affermazioni (“non siamo un partito personale”) e avere questo sottinteso: chi è con me bene, altrimenti peste lo colga. Per la serie: se ne vada pure. Una vera benedizione al Pd disunito! E pazienza se Rossetti e Lodi sono campioni di preferenze. Alla leader dei dem non frega niente: d’altronde con la messe di voti su cui può contare…

Oddio, non sembrano pensarla allo stesso modo anche alcuni suoi sostenitori. Pierluigi Bersani, ad esempio, che pure è rientrato nella “ditta” dopo l’elezione di Schlein. Né altri vicini alla segretaria, i quali temono esattamente ciò che ha scritto il mio amico e collega Paternostro su questo sito: lo scisma di Genova può essere il prologo di altri sommovimenti a livello nazionale. Difatti l’ex leader del partito Nicola Zingaretti nelle segrete stanze avrebbe osservato: “Così alle elezioni europee non prendiamo neanche il 17 per cento!”. E allora c’è chi comincia a scrivere (Marcello Sorgi sulla Stampa, ad esempio) di voci secondo le quali la parabola di Schlein potrebbe volgere al termine se le cose non dovessero andare bene.

Il secondo elemento che mi ha colpito è che Elly mostra di non conoscere ciò di cui parla. Rossetti e Lodi non hanno certo bisogno di difensori, ma come si può dire che loro e gli altri scismatici non condividessero le battaglie del Pd? Se sono diventati persino noiosi nel loro inarrestabile refrain!

Servono, poi, un paio di sottolineature. Da una vera leader mi sarei atteso ogni tentativo per tenere unito il partito, non frasi che semmai servono esattamente all’opposto. Inoltre, certa informazione presuntamente amica racconta che Rossetti e Lodi stiano inseguendo delle ambizioni personali. Non mi risulta. Ma se anche fosse vero, gli stessi progenitori dei dem insegnano che a chi porta un mare di voti e si fa un mazzo tanto si riconosce un ruolo. Tanto più se appartiene alla minoranza del partito.

Ad onta di una timida apertura (“mi impegno a far rimanere tutti nella nostra comunità e a far arrivare nuovi iscritti”), Elly, invece, pare proprio che la pensi diversamente. E così uno dei suoi sostenitori, il segretario regionale Davide Natale, se la prende anche (vedi Il Secolo XIX) con la chat “Vasta” dell’ex governatore Claudio Burlando: “Fa più danni della grandine, basta guardare indietro”.

Solo che Burlando non “era” un leader, “è” un leader. E a chi vive un problema di leadership, sia a livello locale sia su scala nazionale, questo non piace. Ma piace ancor meno a chi ritiene che la politica del Pd si stia appiattendo troppo sui Cinque Stelle. I quali hanno un triplo vantaggio: cose fatte (reddito di cittadinanza e superbonus edilizio), cose da sempre sostenute (salario minimo) e un vero leader (Giuseppe Conte). Perché l’elettore dovrebbe prendersi una copia e non l’originale?