E’ come una litania il racconto ( oggi si direbbe la narrazione) del ritorno a scuola verso la metà di settembre. Si incomincia con l’allarme per i vuoti negli organici, con le legioni di precari in attesa di destinazione. Si continua con l’emergenza “abitativa”: scuole vecchie ,cadenti, da ristrutturare con i prof che in certi casi si mobilitano in prima persona dando il bianco alle pareti. O scuole miracolosamente recuperate come quella di Molassana, grazie a un blitz del Comune. Si continua con l’esplosivo aumento dei costi per i libri e tutti gli attrezzi necessari agli studenti: quest’anno anche le “biro” sono salite alle stelle…..Ci si appende ai buoni propositi del corpo docente, stabile o precario, il più sottopagato nell’Europa, ex centro del mondo culturale moderno o degli amministratori pubblici che cercano di tappare i buchi.
Ma mentre sciamano i 184 mila studenti genovesi che rientrano tra i banchi o, nel caso dei “primini”, esordiscono con emozione, il grande tema sorvola solo sulla scuola, sul suo ruolo in questa società sempre più liquida, più distratta da grandi drammatiche emergenze.
Oramai la scuola è la prima grande frontiera della formazione non solo culturale, ma anche umana delle generazioni più giovani. La famiglia meriterebbe una analisi a parte per quanto è cambiato il suo ruolo e il suo peso nella formazione.
E allora resta questa scuola tartassata, incaricata di accogliere, “includere” (termine sempre più largo e importante), formare (termine sempre più impegnativo), strutturare studenti che arrivano carichi di pesi che la società moderna rovescia loro addosso. I prof, i maestri, i docenti, ma anche tutto il resto del personale impegnato che aspetta sulla porta o seduto i cattedra l’arrivo degli allievi, vedono come in un gigantesco specchio quali sono i problemi della società che si manifestano, uno a uno, con una forza che dipende dalla personalità dei ragazzi e ovviamente da come la famiglia li sta preparando alla vita e alla scuola stessa. L’inclusione, prima di tutto, in un mondo oramai globalizzato che entra in classe, certo non in tutte, ma in molte con una diversificazione di preparazione, di tradizioni, di storie, che oramai lascia già segni profondi, differenze da assorbire, contrasti da mediare.
Ma inclusione vuol dire anche tenere conto di chi entra tra quei banchi con difficoltà, con handicap e deve essere aiutato, sostenuto, portato più vicino possibile all’incerto livello medio dei suoi compagni.
Poi c’è il rapporto con le famiglie che premono sul portone della scuola e che hanno tante modulazioni diverse di “partecipazione” al lavoro della scuola: dalla fiducia serena, alla collaborazione, allo scontro frontale, al disinteresse, al rovesciamento dei problemi loro interni nelle aule, alle battaglie anche legali contro le decisioni della scuola.
La scuola deve anche selezionare, anche se questo termine è diventato quasi una parolaccia, davanti all’opzione di avanti tutti o quasi tutti, senza rimandati o bocciati, come si diceva una volta. Tanto oramai da decenni la regola è di non frapporsi, se non in casi rari, e sempre ultra motivati, alla promozione collettiva. Mentre nella società competitiva di oggi, a tutti i livelli, la selezione poi arriva inesorabile, quale che sia la strada scelta dallo studente iperpromosso.
E spesso a determinarla sono anche i mezzi economici della famiglia che sostiene, perché poi negli stadi successivi della formazione chi paga può far volare in avanti i suoi ragazzi e chi non può pagare deve affidarsi alle sole forze individuali, all’impegno singolo, alla disponibilità, di chi o cerca di andare avanti o si lascia andare.
E quante sono oggi le “dispersioni”, i neet (not engaged in education and employment), quelli che non studiano più e non cercano lavoro, si lasciano andare come zattere nel mare tempestoso della modernità, dove conta spesso solo essere on line….. Con il risultato drammatico che la cronaca quotidiana ci sbatte sul muso: violenze di ogni tipo, esaltazioni da face book….
La scuola dovrebbe anche dare le regole, che non sono solo gli orari, la disciplina sempre più difficile da applicare, quando si entra con lo smartphone in tasca e la libertà di comportamento praticata in quella società liquida dove la famiglia può essere “forte” in questo impegno, ma anche totalmente libera o incapace, anche per ragioni motivate a essere presente nella vita dei figli-studenti.
Infine, e sopratutto, la scuola deve “insegnare” che vuol dire “lasciare un segno”. Quanti prof, quanti docenti sono in grado di “lasciare un segno” nella formazione degli studenti? Si intende un segno per la vita nella loro formazione.
In una realtà meno magmatica questo era il segnale che contraddistingueva gli “insegnanti” e molti, quasi tutti ricordiamo nelle generazioni del passato chi ci ha lasciato un segno. Anche un maestro elementare che ci ha fatto capire bene l’importanza della storia. Un prof di greco e di matematica che ci ha fatto svoltare, una prof di arte che ci ha fatto innamorare….quanti esempi e nomi potremmo fare…….
Oggi è molto più difficile lasciare segni. Molti prof sono già eroi veri del tempo moderno nel gestire le loro classi, altri sono più fortunati perché si trovano in contesti più facili. Nella complessità della società di oggi tra mille stimoli, quante chance ha un singolo docente di “marcare” un territorio quasi esplosivo, tra i social, i miti di una comunicazione mediatica martellante e cangiante continuamente, tra idoli, influencer (gli insegnanti, ahimè, di oggi)?
Quanti modelli si possono sovrapporre al loro in quelle poche ore su una cattedra che allora era come la prua di una nave che rompe il ghiaccio e oggi è un’isola nella tempesta mediatica?
Per tutto questo, per molto altro che non si può qui affrontare, la scuola che incomincia è un tema chiave, sottovalutato nei tempi di oggi, ancor più in un paese come il nostro, con la storia zeppa di “insegnanti”, non certo solo a scuola….
La politica su questo è lontana, spesso in disarmo, promette e non mantiene mai, con riforme che cercano di cavalcare episodicamente i cambiamenti, le emergenze. Ma che sempre più spesso restano episodi di volontariato per chi nella scuola vive, lotta e cerca di resistere, consapevole di combattere spesso da solo, mentre il mondo cambia e chi ha le responsabilità apicali ha altro da fare.