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di Luigi Leone

Ansaldo Energia. Acciaierie d’Italia (ex Ilva). Piaggio Aerospace. Sono grandi aziende, con tre denominatori comuni. Uno: sono strategiche per il sistema Paese, perché si occupano di energia, siderurgia e aeronautica. Per conto dell’Italia, cioè, operano in settori vitali dello scacchiere geopolitico mondiale. Due: si tratta di imprese decisive per lo sviluppo, economico e occupazionale, della città di Genova (oltre che dell’intero Stivale). Tre: sono il simbolo del fallimento di tutti gli ultimi governi nella politica industriale.

Ad onta dei primi due argomenti, che da soli dovrebbero ampiamente bastare per garantire un’attività costante dell’esecutivo di turno, ci troviamo di fronte ad una autentica fiera dell’assurdo. Situazioni negative che si trascinano. Energia festeggia il suo 170° compleanno, ma c’è voluto del bello e del buono per arrivare alla sua ricapitalizzazione. E sugli ordinativi l’ottimismo del suo amministratore delegato non offre alcuna garanzia. Eppure di mezzo ci sarebbe Cassa depositi come primo azionista. Parliamo dello Stato, non di un “padrone” qualsiasi.

Persino più complicata la vicenda di Acciaierie d’Italia. Invitalia, quindi sempre lo Stato, sarebbe dovuta salire al 60 per cento del capitale, con il socio privato, Arcelor Mittal, in minoranza. Tutto congelato, invece. E proprio per questa ragione, sembra, il presidente Franco Bernabè si sarebbe dichiarato pronto ad un passo indietro. Dimissioni, però, non ne ha formalizzato, mentre il caos regna sovrano.

Quanto a Piaggio Aerospace, entro fine anno dovrebbe chiudersi l’assegnazione dell’azienda a un privato. Ci sarebbero, secondo il ministro Adolfo Urso, tredici gruppi a darsi battaglia per issare la propria bandiera sul pennone di quella che viene definita la “Ferrari dei cieli”. Lo speriamo tutti vivamente, anche se i fatti dicono altro. E cioè che fin qui si sono susseguiti numerosi commissari senza esito, che siamo alla terza gara per l’aggiudicazione di Piaggio e che ogni impegno per renderla subito più forte (e di conseguenza più appetibile, non ci vuole un genio) è stato puntualmente disatteso.

Ansaldo Energia, Acciaierie d’Italia e Piaggio testimoniano, ognuna con la propria specificità, l’assenza di una vera politica industriale da parte del nostro Paese. Inoltre, dimostrano la totale incapacità della politica a fornire risposte adeguate e in tempo utile. Già, perché il quarto denominatore comune di queste aziende è che i giorni, le settimane, i mesi e gli anni sono trascorsi nella vana attesa che “qualcosa accadesse”. L’attuale governo è nell’occhio del ciclone perché competerebbe ad esso chiudere positivamente i dossier, però quelli che lo hanno preceduto, e di tutti i colori possibili, non possono certo esimersi dalle responsabilità. Anzi.

Parliamoci chiaro: se anche solo una di queste storie dovesse finire male, la chiamata di correità investirebbe tutte le forze politiche, nessuna esclusa. Ma proprio nessuna. E non possono chiamarsi fuori neppure il Comune di Genova e la Regione Liguria. Ancorchè non appartenga loro alcuna potestà decisionale, non sono affatto sicuro che le due istituzioni abbiano fatto ciò che era necessario perché Roma si accorgesse di quanto stava accadendo a Genova (e a Taranto, nel caso dell’ex Ilva). Il mio amico e collega Franco Manzitti proprio su questo sito ha scritto che il re è nudo a proposito del Terzo Valico e del trasferimento della facoltà di Ingegneria a Erzelli. Verissimo. Ci aggiungerei la nudità del re sull’industria. Per questa ragione non ci aspetta un grande futuro. Anzi, possiamo proprio dire che la cattiva politica sta uccidendo Genova.