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3 minuti e 23 secondi di lettura
di Eva Perasso

In pochi giorni molti ragazzi e ragazze liguri si sono trovati a passare dalle vacanze di Natale al ritorno a scuola, alla quarantena con dad (didattica a distanza), oppure nel mix casa/scuola in did (la cosiddetta didattica integrata). Classi spezzate che a seconda dei giorni dal vaccino (o a seconda della scelta vaccinale) si trovavano per una differenza di 24 ore o a essere condannati a stare a casa o alla libertà di sgambettare fino a scuola, indossando la FFP2.

Un groviglio bello e buono di regole cambiate da un giorno all'altro, di burocrazia tra provvedimenti delle scuole, conte dei positivi, attese da parte delle Asl dei documenti per i tamponi, corsa alla prenotazione, e poi tutti i dubbi. E poi ancora tutto l'assurdo di una serie di regole per cui chi resta a casa e non ha accesso all'aula il pomeriggio può andare a calcio o ai giardinetti. Ben venga, peraltro, la libertà dell'aria e di andare ad ascoltare il rumore del mare.

Ci siamo dentro, fino al collo. Prendiamo questa famiglia, la mia. La mamma è positiva al covid asintomatica con tre vaccini. Figlio uno è vaccinato con due dosi, fatte da meno di 120 giorni. Nonostante sia contatto, calza la sua FFP2 e va in classe. Figlio 2 ha compiuto ora 12 anni e sta attendendo la prima dose già prenotata: da regola in quanto contatto è costretto a un minimo di 10 giorni di quarantena con tampone liberatorio o addirittura a 14 giorni senza tampone. Sta a casa più della mamma positiva. Affronta dunque la did, perché i suoi compagni sono in classe.
Poi figlio uno torna a casa perché la sua classe viene messa in dad, giunge il provvedimento di quarantena a causa dei positivi. E' fine quadrimestre, ci sono le verifiche, che da casa naturalmente non si fanno, ci sono le materie da recuperare, ma non è possibile farlo. Figlio uno è sempre più disinteressato, chatta di figurine dei calciatori e di punteggi del Fantacalcio con il suo compagno mentre la prof spiega matematica. Figlio due giace sotto le coperte, con un occhio solo aperto, la dad nelle orecchie che rimbomba. Sono più i minuti che dorme che quelli in cui segue. Sul registro elettronico compare la scritta: ASSENTE. C'era lui lì collegato, ma in fondo quel messaggio racchiude tutta la verità: questi ragazzi sono assenti.

La sensazione di impotenza - nel non poter controllare, capire, accogliere e anche accettare questo delirium tremens normativo - è quel che più si imprime in noi genitori, ma anche negli insegnanti e negli studenti increduli, assenti, ormai trasparenti. Forse i più bravi ad accettare? Senz'altro i più resilienti, ma anche i più fragili.

E poi ci sono loro, le lezioni a distanza in quel mix letale di una parte di classe in presenza e una parte a casa. Lì si esprime il massimo dell'incomunicabilità e della fragilità del sistema. L'insegnante entra in classe e trova davanti a sé un gruppo con cui interagire. Un secondo gruppo è collegato da casa. Spesso però la connessione scolastica non regge, il laptop in aula è obsoleto, il prof si arrangia con un tablet personale, con il cellulare, auto-rubandosi i Giga per connettersi. Ma i ragazzi a casa non li vede nemmeno tutti. C'è chi saggiamente stacca la telecamera e dormicchia, chi la spegne sperando che la connessione regga e si possa almeno sentire la lezione. Emblematica l'inquadratura della professoressa che aveva attaccato il suo cellulare per terra alla presa sul muro, attivato la did con la sua connessione perché quella della scuola non funzionava, ritornata alla cattedra a parlare coi pochi presenti. Chi era a casa le vedeva le gambe, da lontano. Quel ragazzo a casa ha indugiato 5 minuti nell'osservare il pelucco di polvere tra la gamba della cattedra e la ballerina della prof. Che lezione avevi oggi? Non lo so mamma, non sentivo nulla.

Tra la did e la dad, allora, ragazzi, io preferisco il rumore del mare. Per compito ai miei figli oggi scrivo sul registro: leggere la poesia di Dino Campana, è di quelle brevi come piacciono a voi, in attesa di correre verso la spiaggia ad annusarlo.