Il 21 ottobre del 1923 undici Comuni si sono uniti e hanno dato vita alla città di Imperia. Da allora sono trascorsi cento anni e per la ricorrenza il capoluogo della riviera di ponente ha preparato dodici mesi di festeggiamenti, che sono iniziati sabato scorso. Noi di Primocanale, nel nostro piccolo, anche grazie al contributo di Fondazione Carige, abbiamo provato a raccontare la storia di Imperia e delle sue genti, attraverso una produzione che ripercorre alcuni dei momenti più significativi.
Ma qui desidero soffermarmi sulla lezione che viene da quel 21 ottobre di un secolo fa. La nascita di Imperia, infatti, è la dimostrazione che delle piccole municipalità possono proficuamente mettersi insieme, creandone una più grande. E soprattutto risolvendo, in questo modo, molti problemi che invece le angosciano.
Oggi ci sono Comuni, in Liguria come nel resto d’Italia, che faticano maledettamente ad andare avanti: hanno bilanci irrisori epperò tremendamente deficitari nella loro irrisorietà, non possono contare su un segretario comunale a tempo pieno, devono spesso rinunciare ad asili e scuole non solo per mancanza della necessaria popolazione di bambini e adolescenti.
Via di questo passo, si potrebbero citare a decine i problemi che le piccole municipalità non possono affrontare quando si parla di trasporti, rifornimenti idrici, raccolta e smaltimento della spazzatura. Eppure, nonostante la mole dei problemi irrisolti e irrisolvibili, ognuno preferisce rimanere ostaggio di essi e della propria piccolezza.
Perché? Mi è capitato di chiedermelo molto spesso. Proprio in provincia di Imperia sono almeno tre i casi che gridano vendetta. Mi riferisco a Diano Marina, San Bartolomeo al Mare e Cervo Ligure. Sono realtà che nella percezione delle persone, soprattutto quelle che vengono da fuori (e i turisti sono migliaia ogni anno), non esistono. Lungo la via Aurelia soltanto i cartelloni stradali indicano che si lascia un posto per entrare nell’altro: non c’è alcuna discontinuità. Eppure lo status dei Comuni rimane quello da sempre.
Credo si tratti di un altro peccato della cattiva politica. Rimanendo al caso citato, tre Comuni significano tre sindaci, tre giunte municipali, tre consigli comunali. Una moltiplicazione delle poltrone che altrimenti non ci sarebbe. Ed anche un potere da preservare, visto che tre Comuni significano, tanto per dire, pure tre piani edilizi, quindi tre modi diversi di rilasciare le autorizzazioni.
Si potrebbe andare avanti a lungo, rafforzando il concetto di base: quella che abbiamo di fronte è una politica che non pensa ai cittadini, e non parlo populisticamente dei risparmi possibili riducendo il numero degli incarichi, bensì alla propria sopravvivenza. Oppure, nel migliore dei casi, non pensa proprio. Mandando avanti le cose così come sono sempre andate. Comunque, non è la cosa migliore.
Ecco perché la nascita di Imperia, cento anni fa, costituisce un esempio, qualcosa cui guardare al di là della ricorrenza. Proprio nella produzione preparata da Primocanale, il sindaco del capoluogo rivierasco, Claudio Scajola, osserva: “Per una città, un secolo di vita non rappresenta un’età particolarmente elevata. Ma se si sono messe insieme più municipalità per dare vita a quella città, allora è il momento dei bilanci. Quegli undici Comuni che si sono uniti ci hanno rimesso o ci hanno guadagnato? Beh, credo che la domanda abbia una risposta netta: ci hanno certamente guadagnato”. Tanti altri potrebbero farlo in Italia. Invece la politica preferisce raccontarci che piccolo è bello. Purtroppo, non sempre è vero.