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di Mario Paternostro

Un po’ di anni fa, quando ancora facevo il giornalista e mi occupavo di sanità, ricordo le accorate parole pronunciate nel corso di una puntata di “Dica 33” dell’ anziano medico del pronto soccorso di un ospedale genovese. “Qui a lottare ci sono medici ultrasessantenni che stanno fino alle 2 del mattino, spossati dalla stanchezza”. Era, spiegava il dottore, il segno di qualcosa di drammatico: medici anziani in trincea, laddove, probabilmente, proprio per la durezza del lavoro, faticoso, stressante, caotico, notturno, occorrerebbero sanitari giovani, forti, magari con l’entusiasmo di un lavoro tutto da scoprire sulla prima linea.

Certo che il segno era drammatico. Tragico direi oggi, di fronte alla demolizione della sanità pubblica migliore del mondo, demolizione sistematicamente operata dalla politica di tutti i colori che da vent’anni ha governato il nostro Paese. In questi anni la parola d’ordine era “tagliare”. Lo ricordate. Tagli, tagli, tagli. E giù applausi (anche di noi giornalisti) per i tagli e i ministri tagliatori: di reparti, di specialità, di infermieri, di ospedali nei paesi. Tagliare lo spreco perché sembrava che la sanità pubblica italiana fosse la repubblica dello spreco: doppioni, eccessi, ospedali troppo piccoli per reggere quindi a detta di questi affettatori di servizi, inutili.

Probabilmente gli sprechi c’erano e anche i piccoli ospedali sotto casa che potevano diventare “rischiosi” di fronte a patologie complicate che necessitavano di alte specializzazioni e soprattutto di apparecchiature adeguate. Ma da questa situazione alla decimazione delle strutture ne passa….

Ancora pochi giorni fa un amico che ha avuto un delicato ricovero a San Martino mi ha raccontato di un trattamento di ottimo livello, pieno di attenzioni sia mediche che infermieristiche. Quando è capitato a me non posso che ripetere questo giudizio: medici di grande qualità professionale e anche di forte ricchezza umana.

Il guaio è l’affollamento irragionevole dei grandi ospedali “centrali”, un San Martino dove chi è al pronto soccorso, come racconta il personale che ci lavora, è costretto a occuparsi di tutto, dal ferito gravissimo, al mal di testa magari dopo una sbornia del sabato sera.

Perdo la ragione quando leggo tutti i giorni di giovani medici usciti ottimamente dalle università italiane che, non trovando dignitosa sistemazione in Italia, vanno all’estero. Una signora mi racconta anche la storia della figlia veterinaria fuggita a Londra e dopo due anni in un posto di rilievo e ben pagata.

Ecco. Ben pagata. Che non vuol dire strapagata. Ora quando leggo gli stipendi che girano in certi settori para-politici mi girano abbondantemente i “cabasisi”, non per un atteggiamento qualunquistico, quello che dice che la politica non va pagata. Anzi, Sono sempre stato favorevole anche al finanziamento pubblico dei partiti. Ma parimenti va pagato bene il lavoro difficile, faticoso, disagevole, con orari complicati dei medici del pronto soccorso.

Intendo dire che i medici del pronto soccorso andrebbero pagati assai di più di altri colleghi che non sono sottoposti allo stress quotidiano di un luogo dove arriva di tutto, e dove fra l’altro si rischia anche fisicamente.

I giovani medici italiani se ne vanno? Cribbio! Ma il ministro della Salute che cosa fa per trattenerli? Che cosa fa il governo Meloni? E l’opposizione che proposte ha? Intendo proposte serie non “sparate” propagandistiche che non stanno in piedi.

Personalmente del ponte sullo Stretto non me ne importa un fico strasecco. Della morte della sanità pubblica italiana, mi importa molto di più. Quindi, ministro Salvini, lasciamo perdere il succitato manufatto e giriamo il “quantum” a chi ci salva la vita senza chiederci un euro.