L’eventuale ricandidatura di Giovanni Toti a Presidente della Regione Liguria sta diventando una questione nazionale. Vuoi perché coinvolge altri governatori (dal veneto Zaia al pugliese Emiliano) vuoi perché mette in discussione un principio che sembrava intoccabile: due mandati (consecutivi) e poi a casa.
Vale anche per il sindaco di un Comune superiore ai 5.000 abitanti. Ma mentre per quest’ultimo caso sembra si vada verso un accordo che sposta a 15.000 il limite dei residenti, per la Regione e per gli altri sindaci, tipo quello di Sanremo, per il quale si vota la primavera prossima, si resta lì dove siamo.
Ora, al di là dei tecnicismi che ad esempio rendono non “fuori legge” una ricandidatura di Toti (e già ci sono autorevoli pareri legali a supporto), la questione resta crudamente politica. Da questo punto di vista, chiunque si professi autenticamente liberale non può che fare un ragionamento semplice semplice: finché un candidato guadagna la metà più uno dei voti necessari, non si capisce perché non debba poter essere issato al vertice di una istituzione.
Io non voglio esprimere (non adesso, almeno) alcuna valutazione su Toti in Liguria. Però, se trova il sostegno del centrodestra per essere ricandidato, mi è difficile condividere che non siano gli elettori a giudicarlo. E questo vale per tutti i possibili amministratori pubblici. Si dirà: con il limite ai mandati consecutivi si evita la creazione di rendite di posizione.
Di più. “Non vogliamo dei duchi” per dirla alla Carlo Calenda, il leader di Azione. Una sommessa obiezione: non è che dove è stato applicato lo sbarramento dei mandati abbiamo avuto governatori o sindaci più bravi dei precedenti. Diversi, d’accordo. Ma siamo sicuri che se gli elettori avessero potuto non si sarebbero affidati a chi c’era già?
Il rinnovamento, in realtà, non sempre fa rima con miglioramento. Difatti si continua a ritenere un problema la selezione della classe dirigente: non basta non aver avuto incarichi per essere uno capace a capeggiare una giunta regionale o comunale. Anzi. E si potrebbero fare decine di nomi come esempio, allargando la questione a parlamentari e ministri.
Per un liberale vero, insomma, meno lo Stato interviene (anche per interposto legislatore, come nel caso delle Regioni) e meglio è. Così trovo almeno strano che alcuni partiti valutino giusta una legge sul limite dei mandati elettivi e contestualmente siano contrari a espressioni come quella della ministra Eugenia Maria Roccella, favorevole – detta in soldoni – alla famiglia tradizionale.
Non basta l’obiezione che è impossibile tacere se il problema ha natura etica. Potrei dire, semmai, che è esattamente il contrario. Ma non serve, poiché nello specifico è questione di coerenza. O si ammette che lo Stato non deve intervenire, dunque la ministra ha torto, oppure si conviene che deve intervenire, allora il limite ai mandati si tiene con i dinieghi di Roccella. Uno e uno non ha senso.