Alcune settimane fa, da osservante ultra settantacinquenne genovese (umarell?), quindi con una spiccata tendenza al lamento perenne, sottolineavo come mi mancano alcuni mezzi di risalita dal centro o dal basso in generale alle alture. Insomma una sensazione di mancanza di nuove funicolari o di nuovi veloci ascensori. Un elogio, logicamente, alla preveggenza di chi nel secolo che fu, progettò per la mobilità della Grande Genova la cremagliera di Granarolo, le funicolari di Zecca-Righi e Sant’Anna, gli ascensori di Montegalletto, Spianata, ponte Monumentale, fino alla moderna risalita di Quezzi. E ne dimentico sicuramente altre.
Mi ha risposto l’ingegnere Giorgio Olcese che, oggi saggio ultranovantenne!, fu da 1979 al 1993 ingegnere capo del Comune di Genova, con una documentatissima lettera che merita di essere resa pubblica. Insegna molte cose, purtroppo nel passato non fatte, a cominciare dalla vera metropolitana. Cioè un metro che non fosse solo una linea, ma una vera rete globale o quasi della città. Però avrebbe dovuto seguire un tracciato diverso. Ecco la storia.
“Fui io a prevedere nel mio piano regolatore del 1976-1980 il tracciato della metropolitana e a realizzarla nel tratto da Certosa (chiamai il caro amico Renzo Piano!) al porto antico. Il tracciato completo da Multedo a Sturla prevedeva razionalmente due linee con interscambio a De Ferrari. La prima linea longitudinale seguiva, in centro città, l’asse storico: Zecca/Portello/Corvetto per raccogliere al piede le utenze collinari di
funicolari e ascensori, per proseguire verso Brignole e Levante”.
Ma racconta l’ingegner Olcese che avrebbe dovuto esserci anche una seconda linea, che sempre in piazza De Ferrari doveva interscambiare a sud con le esigenze di Carignano e della Foce e a nord prevedeva una stazione sotterranea, udite udite, “esattamente sotto piazza Manin con ascensore emergente dunque al capolinea dei mezzi di superficie in quota”.
La linea sarebbe andava avanti fino a raccogliere gli abitanti di Staglieno.
Cioè una rete razionale e adatta alla complicata conformazione della città , con una striscia lunga a mare, le vallate (vedi oggi progetto di Skymetro), ma anche la mobilità di chi abita l’area collinare da Ponente a Levante.
Ma gli allora amministratori “nonostante la mia testarda e motivata opposizione, vollero che la linea deviasse lungo l’arco portuale a servizio delle folle affluenti all’Esposizione colombiana genovese”.
Fu così, racconta ancora Olcese, che andò perduta una soluzione urbanistica che avrebbe avuto anche attenzione a chi stava in alto, in cima alle salite ahimè, da Circonvallazione a Carignano con un accesso anche alla Foce (tema di cui oggi molto di discute con la nuova area del Waterfront di Levante).
Le due linee prevedevano stazioni a Principe, non di fronte alla Stazione Marittima, ma a monte sotto salita della Provvidenza con un unico sistema di accesso dalla Stazione ferroviaria, una stazione alla Zecca, la stazione di Corvetto “certo la più complessa assemblando di fatto due stazioni, sarebbe stata collocata sotto piazzale Mazzini limite inferiore della Villetta Di Negro. Con scale e marciapiedi mobili taluna davvero un po’ impegnativa. Sarebbero state raccolte da piazza Corvetto, Portello e funicolare di sant’Anna oltre che Piccapietra, Acquasola, via Roma, ma anche da Mameli, Palestro, Assarotti.”Certamente un progetto originale e innovatore. Insomma, l’ingegner Olcese contestò la deviazione del metro sull’arco portuale.
Poi ecco l’originalissima idea della stazione di Manin.
“La localizzazione sotterranea è chiara, l’emergenza con ascensori libera e comunque è perfettamente razionale. Grazie alla quota costante della Circonvallazione monte (leggi l’andamento storico dell’Acquedotto) è pensabile un servizio rapido e frequente di mezzi di superficie, ivi a capolinea, senza impegno di lontani terminali a Centro/Levante. Dunque uno schema circolatorio di immediata chiarezza che avrebbe liberato, quanto meno, via Assarotti dalla frequenza ripetuta fermata dei mezzi pubblici in risalita, in conflitto con lo scorrimento dei mezzi privati. Nonché. Come è ovvio, immesso immediatamente in rete metropolitana tutte le utenze residenziali della città alta facilmente convergenti su Manin”. Bus circolari in Circonvallazione e niente bus in salita e discesa da via Assarotti.
E qui a Manin avrebbe dovuto esserci un ascensore.
Conclude il ricordo dell’ingegnere capo: “L’attuale unica linea metropolitana, oggettivamente marginale alla città globale resta un forte contributo di collegamento al centro per gli utenti della Valpolcevera. Fatti salvi per il futuro soltanto eventuali , ragionevoli prolungamenti a Ponente e Levante della città”.
Evviva la memoria!