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di Mario Paternostro

Il 12 settembre 1923 Antonio Gramsci scrive una lettera al Comitato esecutivo del Partito comunista d’Italia e propone di fondare un giornale che si dovrà chiamare “L’Unità”.

Scrive che dovrà essere “un quotidiano operaio”, aggiungendo che nella situazione attuale del Paese sarebbe “molto utile e necessario che il giornale sia compilato in modo da assicurare la sua esistenza legale per il più lungo tempo possibile”. Spiega bene il fondatore del Pc che “non dovrà avere alcuna indicazione di partito, ma esso dovrà essere redatto in modo che la sua dipendenza di fatto dal nostro partito non appaia troppo chiaramente”. Dall’ottobre del 1922 Mussolini governa.

Gramsci chiarisce che “L’Unità” “dovrà essere un giornale di sinistra, della sinistra operaia rimasta fedele al programma e alla tattica della lotta di classe….una tribuna legale che permetta di giungere alle più larghe masse degli operai e dei contadini”.

Poi propone come titolo “L’Unità”. “Puro e semplice, che avrà un significato per gli operai e avrà un significato più generale, perché credo che dopo la decisione dell’Esecutivo sul governo operaio e contadino noi dobbiamo dare importanza specialmente alla questione meridionale….Personalmente io credo che la parola d’ordine governo operaio e contadino debba essere adattata in Italia così: Repubblica federale degli operai e dei contadini”.
Era un’ evidente risposta alle politiche del fascismo.

Il giornale comunista (allora) compie cent’anni domani 12 febbraio 2024. Esiste anche dopo molte vicissitudini, appartiene a editori privati e oggi è diretto da Piero Sansonetti, ma soprattutto non è più l’organo del Pci da quando il Pci non c’è più.
E’ stato un grande giornale al di là delle posizioni politiche che un lettore può avere e lo dico da vecchio giornalista che con i colleghi dell’”Unità” negli anni ‘70 e ’80 ha lavorato in grande collaborazione anche se da redazioni diverse.

Oggi il quotidiano del Pci verrà ricordato e i cent’anni saranno celebrati alle 17 nella sede della Fondazione DS in via Cantore con l’introduzione di Mario Tullo e di un ex giornalista del quotidiano, Alberto Leiss.

Rileggo la prima pagina del primo numero. Il “fondo” titola “La via maestra”, quella appunto che Gramsci illustrava nella sua lettera. Poi spazio alla “Russia sovietista” alle dichiarazioni di Cicerin, a Gorki che esalta Lenin, al dovere dei leninisti eccetera eccetera.
“L’Unità” è stata fortemente presente a Genova, con la redazione e la tipografia in salita san Leonardo nella palazzina dove abitava anche la direzione regionale e genovese del partito. La pagine liguri erano tante e importanti: per anni il giornale del Pci fece una netta opposizione alle giunte comunali guidate di sindaci democristiani, diventando poi, nei dieci anni di governo Pci-Psi con Fulvio Cerofolini sindaco e Luigi Castagnola vicesindaco, un quotidiano di notevole sostegno alle scelte che furono prese in quegli anni e che segnarono lungamente la vita della città.

Momenti difficilissimi, quando apparvero le Brigate rosse, dagli anni del “né con lo Stato né con le Br” alla tragedia dell’omicidio del “compagno Guido Rossa”. Un titolo a tutta pagina: “Le Brigate rosse gettano la maschera. Operaio comunista trucidato a Genova”.

Una presenza costante anche nelle grandi manifestazioni di piazza, come quella “Festa” del 1978 dove Pietro Ingrao, che fu per dieci anni direttore, affrontò il tema della terza via al socialismo, Cossutta scrisse un commento dal titolo emblematico “I rischi di una polemica” a proposito di alcune dichiarazioni provocatorie per allora del leader socialista Bettino Craxi e l’impareggiabile Fortebraccio ironizzava sulle vicende interne della Dc spappolata tra mille correnti e pretendenti capi: “I bovini si nutrono d’erbe, le iene di carne, le mosche di insetti, le api di polline e i democristiani di bolliti. Come mangia il lesso un democristiano non lo mangia nessuno….”.

Avendo avuto modo di utilizzare l’archivio storico del quotidiano per il mio libro su Togliatti e Siri , la grande scoperta (colpa mia, s’intende) è stata l’attenta informazione sulla cronaca, non solo politica, anche nera. Così nel 1953 è “l’Unità” ha scompigliare le carte del caso Montesi, la giovane trovata morta annegata sulla spiaggia di Capocotta, forse dopo un festino a base di droga, fine liquidata dal magistrato di allora come “morte per pediluvio”, poi così allargato col coinvolgimento del musicista Piero Piccioni (totalmente scagionato) fino a travolgere il potente ministro degli Esteri, Attilio Piccioni e far cadere l’ultimo governo De Gasperi.

Ma, soprattutto, la mitica terza pagina degli anni Cinquanta e Sessanta, quando vi collaboravano personaggi quali Italo Calvino, Carlo Emilio Gadda, Pierpaolo Pasolini e poeti come Alfonso Gatto.

Certo che la politica d’opposizione e spesso l’enfasi premeva su tutte le pagine. Quando Togliatti partecipò alla Festa del 1955 a Genova, Enrico Ardù descriveva piazza della Vittoria zeppa di gente dopo una lunga sfilata in corso Italia e concludeva con un po’ di giustificata retorica: “Passarono i pionieri e le madri sollevavano i loro bimbi a salutare la scritta Verso la vita. Sfilavano i pensionati e i vecchi scendevano dai marciapiedi per farsi incontro alle bandiere della loro speranza. A un certo momento la folla che pazientemente aveva atteso dalle prime ore del mattino, ruppe i cordoni: i compagni del servizio d’ordine non riuscirono a trattenere la marea che si addensava sotto il palco del comitato centrale . Fu quando, per primo, in anticipo, giunse sul palco il compagno Togliatti . Furono scavalcate le transenne , la gente si fece sotto il palco a porgere libri e copie dell’ Unità da firmare, a scattare fotografie, cingendo di un affetto che prorompeva da migliaia di cuori il Segretario del Pci”.

Ma anche per il resto lo spazio era attento, proprio trattando temi culturali e soprattutto la qualità delle firme era di altissimo livello. Così Jean Paul Sartre nel luglio del 1954, quando fu invitato da Togliatti a cena a Trastevere: “Tutto ad un tratto mentre ci portavano la pasta asciutta, si fece folla. ….si misero a gridare Togliatti ! Viva Togliatti!...Che strana scena quell’uomo impassibile e sorridente, circondato da un piccolo cerchio di odio e più in là da un grande semicerchio d’amore. Al nostro tavolo ci si cominciava a preoccupare: una provocazione dei ricchi avrebbe causato l’invasione del ristornate?”.

Nel 1947 era direttore Pietro Ingrao, che ebbe una idea geniale: raccontare l’Italia che cominciava la ricostruzione dopo la guerra, facendo seguire i ciclisti del Giro da un grande poeta che descrivesse tappa dopo tappa, gli umori della provincia. Toccò niente di meno che a Alfonso Gatto che esordì con questo titolo: “Il Giro d’Italia raccontato da un giornalista che non sa andare in bicicletta”!. Furono reportages magnifici.
“La confidenza che vi farò tenetela per voi. Sarò l’unico inviato che non sa andare in bicicletta. Vergogna, direte voi. Me lo dico anch’io e non da oggi. …”.

Con una chiusura-capolavoro. Eccola.

“La voce che io non so andare in bicicletta ha fatto il giro della carovana. Quando siamo in corsa, non è male che Leoni mi sfreccia vicino facendomi l'occhietto per dirmi: Vedi come si fa a stare in macchina?. Io cerco di sorridere, ma quando lui è passato mi mordo le unghie per la vergogna. Credevo di trarre vantaggio dalla mia posizione. Ora mi accorgo che la popolarità dì cui godo è proprio il prezzo del disonore. Perfino i ragazzi, all'arrivo, mi aspettano per indicarmi: faccio finta di non sentire, ma le loro parole mi restano nell'orecchio e mi fanno arrossire anche quando dormo . Sembra un vecchio campione, dicono, ed è soltanto un posa-piano. Lui a casa ha il triciclo, e via di questo passo. Hanno ragione. In bicicletta vanno tutti, le donne e i bambini, i preti e i soldati. Io soltanto, no.”
Poi il finale a sorpresa.

“Coppi, che è un buon ragazzo, mi si è avvicinato stamane mentre andavo in bagno e mi ha detto: Perché non cerca di imparare? Se vuole. al pomeriggio le insegnerò io. Ho cercato di rispondergli: Si immagini quale onore e per me; ma è come se un bambino che deve frequentare la prima classe abbia per maestro un professore d’Università. Comunque, se vuole dopo colazione verrò a prenderla in albergo. A quell’ora non ci sarà nessuno e troveremo una via deserta per gli esercizi.”

“Alle 2 ero ad aspettarlo. Fausto è venuto in pantaloncini corti e si è incamminato con me. Strada facendo abbiamo parlato di tante cose, dei ricordi in comune, delle nostre famiglie, senza deciderci tuttavia ad incominciare. Mi dica un po', come ha fatto a non salire mai su una bicicletta nemmeno da ragazzo? Mi ha chiesto ad un certo punto rimanendo col naso arricciato come è sua abitudine. E’ molto semplice - ho risposto — non sono mai riuscito a stare in equilibrio più di un secondo, ed ho provato, sa. Non creda che me ne sia stato con le mani in mano. Non ci riuscirò mai. Lei è per me come il gran medico che le famiglie chiamano solo quando il malato è bell’e spacciato . Proviamo, ha detto Coppi tagliando corto.”

“Eravamo in una via deserta lungo un muro. Fausto si è messo in posizione reggendo la bicicletta, Mi sono issato sulla sella con molto sforzo e balbettando scuse incomprensibili. Pedali forte e guardi davanti . Le solite parole che dicono tutti. Anche Coppi non poteva che ripeterle. Che se ne fa della sua scienza un filosofo che sia costretto ad insegnare le aste ai bambini? Pedalare forte. E' presto detto, ma come? Più forte, più forte. — sibilava fra i denti Coppi che già incominciava a disperare. Tenga il manubrio leggero, non guardi la ruota. Quante cose da non fare in un momento? Scendo, supplicavo. Mi lasci scendere! Per un attimo ho provato la dolcezza del volo, sapendo di cadere ed ero già caduto nella polvere come un guerriero antico. Coppi da lontano scuoteva la testa, con le mani puntate sui fianchi".

“Diecine di curiosi si erano affacciati dal muro, che prima sembrava dividesse il deserto e non si azzardavano nemmeno a ridere per la soggezione di vedersi Coppi davanti con l’aria del maestro. Non sapevo dove nascondere la faccia, mi veniva da piangere . E’ venuto a rilevarmi Zandonà accompagnato da Tragella che veniva a pescare Coppi . Ma io so nuotare ho cercato poi di spiegare a Coppi e agli altri accompagnandoli all’albergo, da ragazzo mi battevo per i 50 metri : Le mie parole sono cadute nel vuoto .”
Tanti auguri vecchio giornale……