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Basta covid, parliamo di sicurezza in quello spazio liminale chiamato treno regionale
2 minuti e 6 secondi di lettura
di Linda Miante

Sicurezza sui treni, questa sconosciuta. Chi viaggia abitualmente su rotaia lo sa: via vai tra le carrozze, le solite occhiate ai sedili, borse e zaini lontani dal corridoio. A pensar male si fa peccato, ma spesso ci si indovina. Nello scacchiere ferroviario del Nord-ovest la tratta Torino-Savona è quella in cui ho assistito a più tentativi di scippo. 

Treno regionale veloce numero 3107 in partenza alle 18.55 da Torino e diretto a Savona. Nel fine settimana è facile incappare in gruppi di ragazzini, ma con la pandemia non sono in molti ad azzardare una gita fuori porta, tantomeno in treno. Alla stazione di Ceva la carrozza su cui sto viaggiando si svuota ed ecco che si ripresenta una scena che conosco bene. La porta alle mie spalle si apre. Due voci maschili si avvicinano e so che cercheranno di attaccare discorso, tasteranno il terreno. Così è. Questa volta sono due uomini sulla trentina, altre sono giovani, addirittura minori.

Tra quanto arriviamo a Savona? Rispondo che ci metteremo almeno altri cinquanta minuti e taglio corto, fingendo di parlare al telefono. Si siedono poco più avanti. Faccio per andarmene nella carrozza da dove sono arrivati i due. Noto altre persone sedute e mi aggrego. La coppia avrebbe potuto chiedere a loro i tempi di percorrenza, eppure... comunque poco dopo uno dei due torna in coda al treno. Getta occhiate qua e là e dal vetro dell’altra carrozza fa capolino l’amico. Arrivati a Savona scendiamo da due carrozze diverse e per l’ennesima volta mi guardano, percepisco che il mio borsone è oggetto di desiderio. Sono appena le 21.15 e la stazione è già semideserta. Il bar è aperto, ma in giro né Polfer, né personale Trenitalia. I due continuano a ronzare attorno ad altre persone anche se per loro non c’è niente da fare, questa volta. 

Viaggiare soli è un gioco pericoloso, non solo tra Torino e Savona sia chiaro. In India per esempio esiste un programma del "Red Dot Foundation Group" chiamato Safecity, attraverso cui gli utenti possono segnalare in forma anonima situazioni di pericolo condividendo informazioni con le forze dell’ordine. L’idea è stata ripresa anche in Italia da una app omonima, con geolocalizzazione, ma il sistema non è molto diffuso.

Quell’inquietudine di ritrovarsi da soli, la sera, avvicinati e molestati, dimostra la regressione di una società insicura. Un vorrei ma non posso che colpisce con la potenza di uno schiaffo soprattutto le donne. Dei ritardi dei treni dobbiamo farcene una ragione - percorriamo linee ottocentesche - ma la sicurezza è un valore sacrosanto la cui assenza non indigna mai abbastanza.